Mentre l’Occidente festeggia questa “conquista” del fedele alleato saudita, nello stato canaglia per eccellenza, quello guidato dal “dittatore pazzo” Bashar al Assad, il voto alle donne è stato concesso nel 1949, mentre il loro diritto di accedere agli uffici pubblici ed alle cariche elettive è stato reso possibile un anno dopo. Il parlamento siriano conta oggi 280 deputati, fra cui 30 donne. Anche la vicepresidente della Repubblica siriana è una donna: si tratta di Najah al-Attar. Nella Costituzione del 1973, l’articolo 45 recitava: “Lo Stato garantisce alle donne tutte le opportunità, consentendo loro di partecipare effettivamente e pienamente alla vita politica, sociale, culturale ed economica. Lo stato rimuove le restrizioni che impediscono lo sviluppo delle donne e la partecipazione delle donne alla costruzione della società araba socialista”.
All’inizio del 2012 è stata approvata una nuova Costituzione, in cui al punto 8 si dichiara che nello Stato siriano non sono ammessi gruppi che, fra le altre cose, sono “fondati sulla discriminazione in base al sesso, all’origine, alla razza o al colore”. La presenza femminile è alta in tutti i campi della società civile siriana, non escluso l’esercito, in cui nel 2013 è stato istituito anche un reparto speciale con 500 reclute femminili, chiamato le Leonesse della Difesa nazionale. Dal punto di vista dell’istruzione, la situazione è migliorata moltissimo negli ultimi decenni. Nel 1970 le donne siriane analfabete erano l’80%, contro il 40% degli uomini. Nel 2002 erano il 25,8% contro il 9% degli uomini.
Le donne siriane laureate oggi sono tra il 40 e il 50% del totale. Inoltre circa il 12% dei giudici siriani sono donne, percentuale che a Damasco sale fino al 24%. Ma fra qualche anno, di tutto questo non resterà che un ricordo: giusto il tempo di “riportare la democrazia” e regalare il paese alla “opposizione moderata”. A quel punto, le donne siriane non potranno votare, guidare, fumare o uscire di casa da sole. E finalmente la Siria potrà di nuovo essere degna di essere nostra alleata.
Giuliano Lebelli