Washington, 5 ago – Tra le poche scelte decenti in politica estera dell’amministrazione Obama andava riconosciuto il tentativo di scongelare i rapporti con l’Iran. Una linea che l’attuale dirigenza Usa ha evidentemente deciso di non proseguire.
Lo stralcio degli “accordi sul nucleare” da parte di Trump, le sanzioni, il tentativo di isolare almeno economicamente se non diplomaticamente Teheran, le rassicurazioni ad Arabia Saudita ed Israele lasciano intendere che l’ipotesi di un “regime change” sia sul tavolo dei vertici statunitensi.
Il modello è già stato testato con fortune alterne: l’isolamento economico toglie popolarità al regime, l’aiuto a proteste popolari (sulla scia delle “primavere arabe”) aumentano la destabilizzazione di un paese e aiutano in vari modi la possibilità di un “cambio di regime”, non ultima la scelta eventuale di rispondere con durezza e perdere ulteriormente popolarità anzi fomentando le richieste di cambiamento.
In questo contesto rende sospettosi scoprire che Rudolph Giuliani (non solo noto ex sindaco repubblicano di New York, ma anche avvocato del Presidente Trump) ha partecipato come relatore ad un evento chiamato “Free Iran” organizzato a Parigi le scorse settimane. Una conferenza voluta dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana: una organizzazione ombrello egemonizzata dal più noto gruppo terroristico/rivoluzionario “Mujaheddin del popolo” (Mek) che in Francia hanno sempre goduto di una certa libertà.
I Mek sono stati considerati a lungo terroristi anche dall’Occidente e solo da qualche anno, in funzione anti-iraniana, hanno goduto di qualche contatto ufficiale. Si tratta di un gruppo nato negli anni ’60 nelle Università di Teheran animato da una ideologia che sincretizza marxismo e islamismo. Non gode di radicamento nella madrepatria, ma di un interessante network di appoggi, soprattutto informali che ha sviluppato nei decenni (pare abbiano giocato un ruolo nell’aiutare il Mossad nell’eliminazione degli uomini coinvolti al progetto nucleare iraniano ad esempio) e hanno innegabilmente sviluppato una importante esperienza in terrorismo, sabotaggio, infiltrazione e intelligence… proprio quel che agli Usa potrebbe servire in futuro in quella zona.
Quel che è curiosa è la sua evoluzione: oggi è di fatto una setta parareligiosa, dove dell’ideologia originale è rimasto molto poco, ed invece quasi tutto è basato su un culto della personalità dei vertici del movimento. A fianco a questo troviamo la caratteristica di esser composto apparentemente per la maggior parte da donne, costrette al celibato ed ovviamente alla cieca fedeltà alla organizzazione, che si addestrano nei campi del nord dell’Iraq mescolando concetti tra loro distanti come “empowerment femminile”, “liberazione individuale” e “illuminazione spirituale” in un curioso – ad esser gentili- mescolamento di post femminismo, islamico e pensiero anarcoide, ma settario.
Una scelta ad esempio spiegabile in prospettiva come utile per accreditarsi, nell’eventualità occorra agli occhi dell’opinione pubblica occidentale, non come un gruppo di terroristi, ma un movimento caratterizzato da “istanze femministe e libertarie”. Un po’ come quando i media occidentali cercavano di spiegare che tra i curdi si trovavano fantomatiche “brigate queer” a combattere forse l’Isis o forse Assad.
Proprio per via di strani legami con l’Occidente, per la posizione anti patriottica tenuta durante la guerra contro l’Iraq e per la condotta terroristica che li ha caratterizzati in Iran non godono di alcun appoggio e sono ricordati essenzialmente per i loro attentati. Tuttavia abbiamo già visto in passato che, gruppi del genere, in poco tempo agli occhi della stampa occidentale possono diventare rapidamente “legittima opposizione al regime”.
Sette religiose e terroristi: gli Usa tentano il "regime change" in Iran?
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