Roma, 15 feb – Siamo in guerra. Il terrorismo è non solo alle porte di casa nostra, ma ormai sappiamo che la porta l’ha anche attraversata. Il nemico si trova di fronte a noi, alle nostre spalle, accanto a noi, sotto le nostre certezze, dietro i nostri “valori”.
Il terrorismo ha la sua base non più in qualche grotta afghana o in qualche scantinato pakistano, ma in una vastissima area che va dall’Iraq alla Siria fino alla Libia. Iraq, Siria, Libia: tre stati fino a qualche anno fa governati da governi laici, con un grado variabile di affidabilità, ma comunque ostili alla ventata wahabita insufflata dalle petromonarchie feudali del Golfo. Iraq, Siria, Libia: tre Stati attaccati dall’Occidente, con due rovesciamenti di governo andati a buon fine e il terzo fortemente destabilizzato da una politica folle (nel migliore dei casi).
Ricordiamo le immagini del linciaggio mortale di Gheddafi e dello scatenamento orgiastico dei suoi aguzzini, con quel ragazzino con la pistola d’oro brandita verso il cielo come immagine simbolo di un punto di non ritorno attraversato in nome della solita retorica dei diritti dell’uomo.
Di diritti e libertà discutevano anche al Krudttøenden café di Copenaghen, quando un islamista (forse, perché tutta la dinamica della vicenda è assai poco chiara) è entrato sparando all’impazzata. Un nuovo attacco, dopo Parigi.
Siamo in guerra, quindi. Ma contro chi? E in nome di cosa? Per difendere quali valori? Se l’attacco è troppo plateale per essere negato, la definizione degli amici e dei nemici è cosa molto più complessa. Siamo in guerra per l’Occidente contro l’islam? Quale Occidente, quello che ha attaccato i musulmani Gheddafi, Saddam e Assad ed è alleato con le varianti più retrograde e aggressive dell’islam in Arabia Saudita e in Qatar? E cosa dovremmo difendere, forse quell’idea di società “colorata” e multirazziale che ora sta implodendo in tutte le periferie d’Europa.
Siamo in guerra, è vero. Ora il punto cruciale è non sbagliare fronte.
Adriano Scianca