Damasco, 21 – “So bene che non è stato facile, molti vi avranno scoraggiato, i vostri amici, i vostri parenti, tutti vi avranno detto che non era il caso di venire in Siria proprio adesso. Eppure voi, malgrado tutto, siete qua e state vedendo con i vostri occhi. Ringrazio di cuore tutti voi per essere venuti e vi prego, dite la verità a coloro che incontrerete una volta tornati a casa. Dite che la Siria è una nazione libera e che stiamo lottando contro il male del terrorismo non solo per il nostro popolo, ma per tutti gli uomini liberi”.
A pochi chilometri da Damasco, oltre le brulle colline che circondano la capitale siriana, si è aperta ieri all’Hotel Yafour la Conferenza Internazionale della Gioventù con l’intervento del Gran Muftì di Siria Ahamad Badreddin Hassaoun. Un evento organizzato dall’associazione universitaria “Step for Syria” e che per la prima volta dopo quattro anni di guerra ha permesso a giovani provenienti da tutto il mondo di darsi appuntamento a Damasco.
Qua dove “da più di duemila anni abbiamo accolto il messaggio di Gesù Cristo e da più di mille quello del profeta Muhammad – spiega il Gran Muftì – qua dove sorgono da sempre chiese e moschee, qua dove 23 milioni di persone hanno sempre vissuto rispettandosi reciprocamente. Perché la Siria è il cuore della spiritualità mondiale, l’epicentro di tutte le religioni. E adesso è in atto un attacco contro i fedeli di tutte le confessioni. Perché coloro che uccidono cristiani e musulmani professandosi a loro volta musulmani in realtà sono solo terroristi. Ed è per questo che vi chiediamo di non lasciarci soli a combattere questo male”.
Scrosciano gli applausi dei circa 150 giovani presenti in sala, sono delegazioni di studenti cinesi, iraniani, francesi, tedeschi, inglesi, belgi.. e i più numerosi, attenti ed eleganti: gli italiani del Blocco Studentesco. Il Muftì si alza e, pur commosso, non perde il sorriso.
Scende dal palco per salutare tutti i presenti ad uno a uno, ha uno sguardo limpido che non cede allo sconforto di chi soltanto tre anni fa si è visto uccidere il proprio figlio da chi voleva colpire al cuore il carismatico leader religioso siriano.
Colpito a morte dagli stessi terroristi che lui stigmatizza come “il pericolo più grande per tutti i popoli liberi” e che invece la gran parte dei media occidentali continua imperterrita a definire “ribelli moderati”.
E allora ci viene in mente l’epitelioma di Pirandello, quando in lontananza sentiamo, cadenzati a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro, i colpi dell’artiglieria governativa che tengono lontano il male dalle alture che circondano Damasco, mentre il Gran Muftì continua a parlare dell’importanza del confronto tra i popoli da anteporre allo scontro di civiltà tanto caro a qualche intellettuale di casa nostra.
Ma ad emergere a ben vedere è qualcosa di più antinomico, eppure fattore determinante per comprendere la situazione siriana: l’incontro di inciviltà.
Come sottolineato dal saggista francese Frederic Pichon, nel secondo importante intervento della conferenza, in Siria “la più grande democrazia del mondo e la nazione più retrograda sono uniti contro il legittimo governo siriano nel nome di comuni interessi economici e geostrategici”.
E se appunto Stati Uniti e Arabia Saudita hanno sin da subito palesato i loro propositi, è “l’Europa ad aver perso la propria credibilità e ad aver dimenticato le proprie radici rinunciando al dialogo con il Medio Oriente”.
Ecco allora emergere la debolezza dell’Italia, “che ha scordato di svolgere il ruolo di ponte tra nazioni europee e nazioni arabe”, come ben espresso da Michael Mocci, intervenuto per il Blocco Studentesco. “Perché se noi avessimo ancora un’identità forte, come del resto auspichiamo che la nostra nazione torni ad avere – ha detto Mocci – non diremmo ai popoli in difficoltà di venire a trovare fortuna da noi. Sbandierando un Eldorado che oltretutto non esiste. Diremmo loro di restare nella loro Terra a combattere fino all’ultimo respiro.”
Da Damasco, Guido Bruno ed Eugenio Palazzini
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