Allora il quesito era: “Approvate l’adesione dell’Ungheria all’Unione europea?”. L’83,76% degli ungheresi votò si, ma l’affluenza fu anche allora del 46%. Eppure alcuni quotidiani nostrani ci tennero particolarmente a sottolineare che i referendum in Ungheria sono validi con qualunque percentuale di votanti, esaltando quale gran vittoria – “Repubblica” parlava di notti di festa e fuochi d’artificio – lo stesso risultato (anzi, minore) che oggi viene definito un gran fallimento.
Il referendum del 2003 ebbe ovvie conseguenze politiche, poiché spianò la strada all’Ungheria per l’entrata nella UE. Ma al di là dei vari titoloni dei media nostrani, conseguenze politiche ci saranno anche adesso. Viktòr Orban aveva infatti espresso chiaramente che il raggiungimento del quorum non avrebbe avuto per lui alcuna importanza. L’unico fattore fondamentale sarebbe stato una vittoria del “no”, vittoria che una volta giunta si è rivelata, con buona pace degli indignati, a dir poco schiacciante.
Quindi inutile arrampicarsi sugli specchi, dopo la Brexit, il referendum di Budapest è stato un altro scossone all’interno della UE e a proposito dell’affluenza, ciò che emerge chiaramente è che quasi 4.000.000 di persone, sugli aventi diritto al voto, ovvero circa 8.000.000, hanno rifiutato un sistema di ricollocamento obbligatorio dei migranti, mentre solo il 2% si è espresso favorevole. Un dato di cui si deve necessariamente tener conto.
Infine, tirando le somme, per la Brexit era colpa degli anziani, ora c’è la storia del quorum, al prossimo appuntamento, alle presidenziali austriache, vedremo cosa si inventeranno ancora per sminuire un’altra evidente sconfitta di questa Unione Europea.
Edoardo Martino
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