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Shinzō Abe riarma il Giappone e cavalca la tigre

by Alberto Palladino
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AbeTokio 15 gen – Nella giornata di ieri il governo giapponese guidato da Shinzō Abe ha approvato lo stanziamento record di 4.980 miliardi di yen – 36 miliardi di euro- per le spese militari. Il mega investimento sarà inserito nel bilancio dell’ anno fiscale 2015 che deve essere approvato dalle camere dove la coalizione che sostiene Abe ha la maggioranza.

Un continuo aumento dei capitali destinati alla difesa – 2,8 per cento in più rispetto al 2014 – in linea con la nuova politica militare di Tokyo, sottolineata anche dal ministro della Difesa nipponico Gen Nakatani che ha affermato che l’aumento del budget militare è necessario «per proteggere l’aria, la terra e il mare del Giappone».

Il riarmo del Giappone ha registrato una svolta decisiva a partire dal 2005, data storica in cui lo status militare della nazione dei samurai è cambiato significativamente dalla fine della Seconda guerra mondiale, istituendo in primis un ministero della Difesa, ed arrivando addirittura a una modifica della Costituzione sulle modalità di intervento delle forze armate nipponiche.

È necessario ricordare che in seguito al tragico epilogo della Seconda guerra mondiale e sulle macerie ancora fumanti di Hiroshima e Nagasaki, l’impero del Sol levante era stato costretto a sottoscrivere un accordo di capitolazione che prevedeva la delega totale della difesa dell’isola del pacifico agli Stati Uniti d’America e per cui, negli anni, i vari governi si erano limitati simbolicamente a stanziare appena l’un percento del Pil della nazione per le forze armate.

Ad oggi il differente assetto strategico americano, la mutata capacità di essere presenti e operativi in prima persona in tutti i teatri d’interesse strategico e l’aumento dei poli geopolitici concorrenziali con gli Usa hanno fatto sì che anche in Giappone si potesse sviluppare, in questo ultimo decennio, un programma autoctono di forza armata. Seppur sempre sotto l’attento patrocino di Washington, che però preferisce, ora, insegnare ai suoi alleati storici a fare da sé.

Fare da sé, soprattutto in vista di minacce sempre più incombenti in cui l’America non avrebbe interesse ad essere coinvolta, come la centenaria disputa asiatica riguardante le minuscole ma strategicamente fondamentali isole Senkaku.

Chiamate Senkaku dal Giappone e Diaoyu dalla Cina, queste isole minuscole fanno parte di un arcipelago disabitato sotto controllo della marina nipponica ma che Pechinio rivendica dagli anni Settanta. Una delicata disputa diplomatica legata all’interpretazione di trattati dell’Ottocento e basata sulla necessità di controllare la strategica posizione delle isole poste al centro di importanti rotte commerciali e nei pressi di potenziali giacimenti petroliferi e di gas naturale, e soprattutto a poche miglia a nord-est di Taiwan, storico nemico cinese su cui l’impero asiatico ha da sempre mire egemoniche.

Un istinto di protezione quindi, quello che spingerebbe il premier Abe al riarmo ma anche un progetto ampio di intervento del nuovo esercito giapponese nei teatri a guida internazionale con compiti sempre più qualificati.Shinzo Abe

Anche la lista della spesa della Difesa nipponica sembra essere incentrata su progetti di controllo e interdizione marittima e di difesa e superiorità aerea se non proprio di conquista anfibia. Verranno acquistati, infatti, venti aerei ricognitori P-1, altri cinque aerei ibridi V-22 Osprey e sei super-caccia stealth F-35, più droni e appunto 30 mezzi anfibi da sbarco, un aereo da ricognizione a lungo raggio e sistemi missilistici da difesa sviluppato con lo storico protettore americano.

Ad incrementare i fattori di stallo riguardo la questione delle Senkaku, l’acquisto nel 2012, da parte del governo giapponese, di tre isole nel quadrante conteso appartenenti ad un privato cittadino. La Cina dalla sua aveva cominciato a far deliberatamente sconfinare le sue navi nei dintorni delle isole stabilendo anche, in maniera unilaterale ovviamente, un’area di controllo aereo che passava proprio sopra di esse, scatenando la reazione di Usa e Giappone.

Ad oggi la Cina è la seconda nazione al mondo per spese militari superata solo dagli Stati Uniti. Organismi internazionali come lo SIPRI _ Stockholm International Peace Research Institute hanno valutato che in meno di dieci anni la Cina ha aumentato le spese militari del 170 percento a fronte di una crescita del prodotto interno lordo del 140 per cento per un totale di quasi 95 miliardi di euro. Tre volte superiore al budget della piccola ma risoluta isola nipponica. Tuttavia le isole Senkaku non sono il solo punto di attrito su cui preme la Cina che infatti si è resa aggressiva anche negli spazi aerei e marittimi di Vietnam e Filippine

Il programma di riarmo giapponese non si limiterà all’ acquisto delle tecnologie belliche e dei vettori necessari alla tutela del suo spazio aereo e marittimo ma prevederà entro il 2019 la creazione di un corpo di marines basato sul modello di quelli a stelle e strisce per operazioni di assalto anfibio. Da più parti nei settori conservatori della politica del Giappone, da tempo, si ha il timore che l’egemonia militare Usa ormai in declino, o almeno in fase di forte ridimensionamento, non sia più in grado di contenere le spinte espansionistiche della Cina che, inoltre, appare un nemico infido per gli Usa vincolati al gigante asiatico dalla vendita di ingenti quantità di debito pubblico americano. Nonostante questo, il presidente Obama ha dichiarato che le isole Senkaku rientrano negli accordi post bellici, ratificati nel 1960 di protezione made in Usa del Giappone in caso di attacco esterno, ma lo scenario mondiale è notevolmente cambiato.

Ed è notevolmente cambiata anche la politica estera giapponese un tempo caratterizzata da ”estrema cautela e da umiltà circospetta”. Basti pensare alla visita di Abe al tempio di Yasukuni, a dicembre del 2013, tempio in cui sono commemorati i leader politici e militari giapponesi della seconda guerra mondiale.

Ancora lo scorso anno Abe aveva proposto una modifica della Costituzione nel controverso articolo 9 che prevede che il Giappone non potesse avere un esercito vero e proprio ma solo una “Forza di Autodifesa”.

A questo punto il ritrovato potenziale bellico del Giappone entrerà presto o tardi nei conti degli analisti strategici mondiali e scombinerà un’area del globo già nota per la sua instabilità, con le Coree sempre più sul piede di guerra e la Cina e la Russia entrambe in crescita e affacciate sul Pacifico.071015-N-4965F-006

Il fatto che per ora possiamo registrare è questo: sul Pacifico oggi volano di nuovo i caccia con il sole che nasce dipinto sulle ali e le navi da battaglia prendono il largo issando la bandiera imperiale, e forse a qualcuno potrebbe tornare in mente un antico proverbio giapponese che dice: “La tigre va lontano duemila miglia e ritorna infallibilmente“.

Ritorna.

Alberto Palladino

 

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