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Trump si è arreso: Assad può governare la Siria (fino al 2021)

by Mattia Pase
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Roma, 13 dic – Lo scoop, se confermato, è di Robin Wright, del settimanale New Yorker. Riferendosi, senza citarle, a fonti vicine alla Casa Bianca, la giornalista sostanzialmente scrive che l’Amministrazione Trump è ancora convinta che Bashar al Assad non debba essere il presidente della Siria di domani. Solo che ritiene più realistico aspettare la scadenza del suo mandato presidenziale, nel 2021. In altre parole, sarebbe caduta la precondizione della resa di Assad per dare il via al processo di pace. La vera notizia, in realtà, non è tanto questa, quanto il fatto che gli Stati Uniti siano stati costretti ad accettare gli esiti della lunghissima guerra, che li ha opposti a Damasco in ogni modo possibile per quasi sette anni, e le decisioni prese da quella che la Wright definisce la “potente trojka” composta da Russia, Turchia e Iran.

Già ne avevamo scritto tempo fa: questo conflitto ha sancito il declino (saranno i prossimi anni a dirci se temporaneo o definitivo) di Washington, se non altro per quanto riguarda il Medioriente, ovvero la regione in cui si concentra la stragrande maggioranza del petrolio mondiale. Dieci, quindici, venti anni fa e oltre, erano gli Stati Uniti a decidere chi poteva e non poteva governare nell’area. Erano i soldati americani, o i dollari, a decidere le sorti di una nazione, di un leader, di un partito politico. Oggi gli USA devono accettare quello che altri stabiliscono, e devono pure fare buon viso a cattivo gioco. L’azione di Putin, il suo intervento nel conflitto che ha permesso ad Assad di rovesciare militarmente la situazione (sarebbe invece errato dire che i Russi hanno salvato Assad, visto che il regime era sopravvissuto a quattro anni e mezzo di guerra civile, dimostrando così di godere di un forte consenso all’interno del Paese), la sua tela diplomatica che l’ha portato a confrontarsi con le cancellerie di Ankara e Teheran, ma anche con l’Arabia Saudita e Israele, hanno determinato una situazione in cui è evidente a tutti che la minaccia islamista costituita dall’Isis sia stata combattuta soprattutto dai Siriani, dagli Iraniani e dagli Hezbollah libanesi, che in questa lotta hanno pagato un altissimo tributo di sangue.

E quindi tocca a loro, e all’alleato russo, incassare i dividendi, ora che lo Stato Islamico controlla al massimo qualche oasi nel deserto orientale. “Nessun centro abitato è sotto il loro controllo”, ha chiosato Putin nella sua visita in Siria. Mentre erano stati gli alleati degli Stati Uniti, ovvero l’esercito iracheno e le milizie siriane che si opponevano ad Assad, a permettere con una blandissima resistenza che le bande di Al Baghdadi occupassero mezzo Iraq e due terzi della Siria. E a Washington non resta che ripiegare in buon ordine, rimuginando su quanto male siano stati spesi i 14 miliardi di dollari investiti nell’impresa di far cadere Assad, e cercando di dimenticare una lunga serie di figuracce diplomatiche inanellate dalle due amministrazioni che si sono succedute alla Casa Bianca in questi anni.

Ora è quasi tutto pronto per dare finalmente l’avvio a un serio negoziato di pace, che ponga fine al bagno di sangue che ha sconvolto la Siria dalla primavera del 2011, quando, dopo settimane di manifestazioni non cruente, i primi gruppi armati hanno iniziato a sfidare militarmente il governo, supportati da diversi Stati, fra cui probabilmente gli stessi USA. I quali avranno, in questo negoziato, ancora una volta un ruolo marginale – in qualità di protettori delle SDF a guida curda – e comunque fortemente contrastato dalla Turchia, una delle pedine di Putin, che non permetterà un eccesso di autonomia delle regioni curde, preservando così l’unità nazionale della Siria e la permanenza al potere di Assad. Fino alle prossime elezioni, come è giusto che sia, e come ha sempre sostenuto il governo siriano.

Mattia Pase

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5 comments

serena 13 Dicembre 2017 - 9:46

Il leone di Damasco. Un grande

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rino 13 Dicembre 2017 - 10:33

Tutto ben detto. Sarebbe da sottolineare quanto ha spesa la Russia per aiutare la Siria e paragonarlo ai 14 miliardi di dollari investiti (male) dagli USA per distruggerla. Non solo gli stati uniti non sono mai stati capaci di costruire, ora dopo questa avventura, risultano pure incapaci di distruggere; cosa che fino a poco fa era l’unica che gli riusciva bene.

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Tony 13 Dicembre 2017 - 1:07

….l’esercito USA è composto da ”migranti” che sperano nella cittadinanza americana: in pratica dei mercenari ”dilettanti allo sbaraglio”, mancanti completamente di senso dell’amor di Patria ( se mai l’hanno avuta ) Con simil esercito l’unica vera forza degli USA è la tecnologia militare….
I Russi HANNO SALVATO Assad….se non fossero intervenuti, ora, Assad era appeso ad una corda come fu per Saddam Hussein..

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SiDai 13 Dicembre 2017 - 6:15

Il titolo sarebbe stato cosi: “Gli USA rinunciano alla politica estera siriana”. Visto che e’ stata una guerra iniziata dal pupazzetto Obama e mercenari. Quando capirete su questa testata che Trump non e’ un nemico?!?

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Max 14 Dicembre 2017 - 10:40

Fra Putin e Trump e la loro capacità d’azione la differenza la fanno le lebby finanziarie “interne” ai loro Stati, gli USA sono ostaggio delle stesse e ciò implica una diplomazia (compreso il deterrente militare) molto confusi e disorientati, al contrario Putin gode di minor influense dei cattivi maestri e può applicare una strategia diplomatica molto èpiù efficace, secondo me gli scenari mondiali cambieranno moltissimo nel breve volgere di pochi anni

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