La settimana che precede il referendum si è aperta intanto con un’esplosione nel centro di Budapest, causata secondo la polizia da una fuga di gas. Due gli agenti feriti e una scia di polemiche, sospetti e dubbi sulla vicenda che si trascineranno probabilmente fino al fatidico 2 ottobre. Oggi, puntuale come un orologio svizzero, è arrivato poi l’attacco al governo magiaro da parte di Amnesty International. A cinque giorni dal voto l’Ong con sede a Londra ha diffuso un report, “Speranze abbandonate: l’attacco dell’Ungheria ai diritti dei rifugiati e dei migranti”, in cui denuncia il sistema detentivo ungherese, parla di violenze sugli immigrati e maltrattamenti nei confronti dei richiedenti asilo come deterrente. Un documento che fa eco al rapporto di Human Rights Watch, Ong con sede a New York, pubblicato qualche settimana fa. In entrambi i casi Budapest ha respinto ogni accusa. Addebiti scattati ad orologeria che si sommano, oltre ai vari dossier della stampa internazionale di sinistra, alle reazioni istituzionali anche individuali come nel caso del ministro degli Esteri nientemeno che del Lussemburgo, il quale ha sancito unilateralmente l‘uscita dell’Ungheria dall’Ue affermando poi che tutti gli stati che seguiranno l’esempio di Budapest meritano“di essere esclusi, temporaneamente o anche definitivamente dall’Unione Europea”.
Al referendum sulle politiche immigratorie di Bruxelles mancano ormai pochi giorni, l’esito sembra ancora scontato ma possiamo scommettere che i colpi bassi contro l’Ungheria non siano finiti qua. Perché chi teme che venga screditata la presunta sovranità dell’Unione Europea, ha paura in realtà che si affermi la legittima sovranità nazionale di chi non cede ai ricatti.
Eugenio Palazzini
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