Roma, 10 ott – L’ho detto e lo ridico. Anche a costo di risultare ridondante e tedioso. Nel tempo della menzogna universale e del politicamente corretto (ed eticamente corrotto), è doverosa la costanza. O, come diceva Hegel, l’importante è rimanere fedeli al proprio scopo. Greta Thunberg, la giovane scandinava che ha scaldato il cuore di tanti giovani nativi a capitalismo integrale, è un prodotto in vitro dell’élite turboglobalista plutocratica e senza frontiere. Che la usa con obiettivi precisi e non difficilmente identificabili. In primis, per dirottare l’attenzione delle nuove generazioni mutile di futuro dalla sacrosanta lotta di classe ai belati inoffensivi per il clima, l’ambiente e la pace nel mondo. Il non plus ultra della pappa del cuore. Sul tema, si veda l’apposita figura della hegeliana “Fenomenologia dello Spirito”.
L’inganno della green economy. L’ambiente si difende lottando contro il capitale
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Ma l’obiettivo non è solo questo. V’è dell’altro. E, anche in questo caso, non è particolarmente difficile da individuare, per chi non abbia venduto testa e cuore al polo dominante. Il clima e l’ambiente sono davvero, è ovvio, in pericolo. E lo sono per ragioni che Greta e i padroni cosmopoliti mai vi diranno. Tali ragioni, certo molteplici, tutte rinviano al modo capitalistico della produzione, per chiamarlo con il preciso nome assegnatogli da Carlo Marx. In nome della illimitata e illimitabile norma della valorizzazione del valore, il capitale distrugge l’essente nella sua totalità: umani, animali e ambiente. È il suo stesso fondamento ontologico a imporlo: dal punto di vista della ragione utilitaristica, l’ente è fondo disponibile (Bestand direbbe Heidegger) per le pratiche della volontà di potenza infinitamente potenziantesi.
Ne segue more geometrico che il solo modo per difendere l’ambiente è lottare contro il capitale, mutare radicalmente modo della produzione. Ovvio che Greta e i padroni non ve lo diranno, dacché incarnano l’interesse del capitale, del quale sono dramatis personae. E, infatti, vogliono gestire essi soltanto la situazione, l’emergenza climatica. Come? Semplice. Senza mutare paradigma di sviluppo, senza rovesciare il modo capitalistico della produzione. Vogliono, cioè, garantire nuovi sbocchi per il mercato capitalistico. E tali sbocchi si chiamano green economy, come la neolingua già da tempo li appella. Come è noto, un cubo rovesciato resta pur sempre un cubo. Analogamente, la green economy resta pur sempre economia capitalistica. È, dunque, un abile stratagemma per fingere di mutare modo di sviluppo nell’atto stesso con cui si rinsalda il modello capitalistico di sviluppo. Anche in ciò sta l’astuzia della ragione capitalistica.
Diego Fusaro
1 commento
Non lascio a zero commenti questo testo stimolante.
Diego Fusaro, perdona la “brevità”, ma sul termine “classe” non ci siamo, troviamo un termine nuovo…, possibilmente atemporale.