Ma non sono mai le rondini a fare la primavera. Il dato che pesa più di ogni altro è la caduta delle stelle renziane nella roccaforte per eccellenza. Quell’esempio di buon governo tanto sbandierato e crollato sotto i colpi di scandali bancari, scelte lottizzatrici e nomine familistiche. E’ Arezzo che segna la disfatta del Pd, la provincia della Boschi e di Banca Etruria, decantata dagli aedi di Matteo come “la più renziana d’Italia”. Dopo aver perso il capoluogo e il comune chiave di Castiglion Fiorentino, milioni di euro di buco per un default scioccante targato Pd, adesso Renzi si ritrova senza Anghiari, Sansepolcro, Monterchi, Subbiano, Pieve Santo Stefano, Bibbiena e la stella polare valdarnese Montevarchi, con il nemico alle porte di casa Boschi. Ma non chiamatela Waterloo perché con Napoleone al massimo Renzi ha in comune una Sant’Elena malinconica.
Soltanto un anno fa gli appellattivi e gli accostamenti improbabili si sprecavano sulla stampa: Profeta, Tutankhamon, Re Sole, Napoleone, Matteo il Grande, Silvio II da Rignano. Adesso in provincia si sentono solo le battute sarcastiche nel classico stile aretino, i danteschi botoli ringhiosi voltano le spalle al premier che vien dall’Arno. Ma ad Arezzo non gode neppure il Movimento 5 Stelle, che non sfonda, anzi rimedia un clamoroso flop in controtendenza col dato nazionale. I pentastellati arrivano terzi, quando si presentano, in tutti i comuni della provincia. A vincere sono liste civiche e coalizioni che virano più a destra che al centro. Ne erano la prova probante Arezzo e Castiglion Fiorentino, lo sono anche gli altri comuni perduti dalla signoria renziana. Ad emergere su tutto è però la debacle di un premier mai così impopolare. Il giullare è nudo, che sia al tramonto è forse presto per dirlo, ma nella provincia di Petrarca e Michelangelo, tra Canzonieri e Pietà, già si odono le note di un triste requiem.
Eugenio Palazzini
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