Roma, 21 Gennaio – Negli ultimi mesi capita spesso di sentire in dibattiti televisivi e giornalistici svariate critiche nei confronti dell’Unione Europea, del suo apparato e delle linee economico-politiche che vengono “suggerite” ai governi nazionali.
Viene da chiedersi quando gli Stati abbiano abdicato alla propria sovranità nazionale in favore di commissioni fatte di tecnici e burocrati che stanno a Bruxelles.
Ripercorrendo la storia politica dell’Unione Europea il suo inizio risale al 1992 con la firma da parte dei capi di Stato di 12 paesi del Trattato di Maastricht, che fissa le regole politiche e i parametri economici necessari per l’ingresso e la permanenza dei vari Stati all’interno della costituenda Comunità Europea.
A partire dal 1º gennaio del 1999 l’Euro diventa la valuta ufficiale di 18 stati membri dell’UE, tra i quali anche l’Italia, e contestualmente tutte le funzioni di politica monetaria e tasso di cambio delle banche centrali nazionali vengono trasferite alla BCE.
Dal punto di vista politico, invece, la tappa saliente è la formulazione della Costituzione Europea risalente al 2003. Stavolta però alcuni paesi a causa di una forte pressione da parte dell’opinione pubblica sono costretti a chiedere il consenso popolare per ufficializzare la ratifica. Dopo la bocciatura da parte dei cittadini francesi e olandesi il progetto viene prima fermato e poi definitivamente abbandonato.
La spinta degli interessi delle lobby affaristiche e finanziarie che stanno dietro le varie commissioni europee però non è qualcosa di facile da fermare e così nel 2007 nasce il cosiddetto Trattato di Lisbona. Lo stratagemma utilizzato è quello di far passare gli stessi principi della Costituzione Europea attraverso la forma tecnica del ‘trattato’, che consentiva di evitare il passaggio dell’approvazione da parte dei cittadini mediante referendum.
Con il Trattato di Lisbona si ha una decisa accelerazione nel processo di trasferimento della sovranità decisionale dagli Stati nazionali alle commissioni europee in settori vitali come difesa e servizi sociali ed inoltre si stabiliscono una serie di principi economici ultra-liberisti che sono alla radice delle problematiche che oggi stanno distruggendo il mondo del lavoro come privatizzazioni, delocalizzazioni e precariato.
In Italia il Trattato di Lisbona viene ufficialmente ratificato il 2 Agosto 2008 con il voto favorevole all’unanimità sia della Camera che del Senato.
“Si tratta di un risultato particolarmente importante che ha visto tutto il Parlamento ed il Governo uniti a sostegno di un progetto di grande rilevanza”. Questo il commento dell’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi, lo stesso che oggi alla disperata ricerca di recuperare qualche elettore perduto parla di rivedere alcuni trattati europei.
“L’approvazione unanime della legge di ratifica del Trattato di Lisbona rappresenta un titolo d’onore per il Parlamento italiano e un fattore di rinnovato prestigio per il ruolo europeo del nostro paese”. Non si può certo dire che le parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano siano state di buon auspicio per l’Italia, il cui ruolo internazionale a livello europeo è sempre più vilipeso e marginalizzato.
Anche Giorgia Meloni, che oggi cerca di cavalcare un po’ goffamente l’ondata generale di euroscetticismo auto-proponendosi come la “Marine Le Pen de noantri”, espresse il suo voto favorevole, così come i parlamentari della Lega Nord, a partire dal neo-segretario Matteo Salvini. E’ piuttosto comico sentirlo in questi giorni proporre referendum per uscire da trattati internazionali siglati anche con il consenso suo e di tutto il partito della Lega.
Anche gli opportunistici dietrofront di alcuni politici tuttavia sono un segnale di quanto sia bassa la popolarità delle istituzioni europee tra la gente. Vedremo se questo euroscetticismo anche in Italia andrà a premiare nelle prossime elezioni comunitarie i movimenti alternativi e nazionalisti sulla scia di quello che sembra essere il trend di molti paesi europei, dalla Inghilterra all’Est-Europa passando per Francia e Grecia.
Lorenzo Berti
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