Roma, 1 nov – La situazione è esplosiva, inutile negarlo: la crisi sanitaria è grave, anche e soprattutto perché è stata gestita male; la crisi economica è grave, e lo sarà molto di più fra poco, quando l’economia non reggerà più e ci sarà lo sblocco dei licenziamenti; la crisi politica è evidente, palese, chiara anche ai sassi, seppur non apertamente dichiarata dalla maggioranza, una maggioranza che esiste solo sulla carta. Il governo è ancora in carica, è vero, ma ha completamente perso l’aderenza con la realtà, la fiducia dei cittadini e la relazione di rispetto con le istituzioni e gli interlocutori socio-economici. Gli enti locali si ribellano, ormai: i governatori di regione si sentono inascoltati, al punto da minacciare ricorsi al Tar; Confindustria, che rappresenta quella fetta sociale che più contribuisce alla tenuta economica, viene beatamente inascoltata; i sindacati delle varie categorie vengono trattati come degli imbelli, al punto che il ministro Azzolina, tanto per citare un caso, insiste nel mantenere una rotta, sulla scuola e sui concorsi, che è destinata allo schianto.
Il governo ha sbagliato tutto. Ma non lo ammetterà mai
Il governo è imbrigliato ed è destinato a portare l’Italia al disastro. Sì, avete capito bene: è destinato a questa fine. Perché? Semplice: perché non può abbandonare la linea politica che ha sinora assunto, a meno che non sia disposto – e non lo sarà mai, perché sarebbe un suicidio politico – ad ammettere di aver, finora, sbagliato tutto. Come reagirebbero gli italiani se domattina Giuseppe Conte, con tutto il suo charme, ammettesse di aver sbagliato, ammettesse che sarebbe stato più opportuno scegliere un’altra via (per esempio, quella di focalizzarsi sugli anziani e le fasce deboli, potenziando la medicina territoriale, anziché massacrare l’economia con lockdown continui)? Come potrebbe giustificare le scelte, incompetenti, sinora prese? Con l’aria che tira, non potrebbe farlo, teniamolo a mente, perché vorrebbe dire crocifiggersi da soli.
Quali sono gli scenari possibili? Solo uno: un braccio di ferro fra il governo e il popolo, fra il palazzo e la piazza. È molto improbabile che le cose vadano diversamente. Il governo non può cadere ora: chi lo farà cadere? Il Pd? O Italia Viva? Per cosa? Tutti lo sanno: se il governo Conte andasse a casa domattina, domani sera sarebbe rimpiazzato da un governo Fdi-Lega. No, il governo resterà in sella. Non si tornerà alle elezioni anche perché le sinistre, ben aggrappate ai 5 Stelle, vogliono eleggere il loro capo dello Stato.
Le tensioni aumenteranno: gli italiani non sono più disposti a cantare sui balconi mentre sono confinati in casa. Al tempo della prima ondata, sono stati comprensivi: era una cosa nuova, non c’era stato preavviso – certo, anche su questo si potrebbe discutere: non è ormai dimostrato che il virus era presente in Cina già a settembre? Adesso però il preavviso c’era, anzi, c’era la certezza: dove sono le terapie intensive in più? Dov’è il tracciamento? Dove sono i trasporti potenziati? Dov’è la medicina territoriale? Tutte domande a cui non si dà risposta, tutti errori che pesano sul governo, i cui membri hanno, con la loro incompetenza, sulla coscienza molti morti e molte vite distrutte. Ma il governo non cadrà. A cosa si arriverà? Allo scontro, inevitabile. Allo scontro fra la piazza che rivendica il diritto alla vita, e non il diritto alla sopravvivenza, e il palazzo. E sul piano istituzionale? A un nuovo feudalesimo, a un medioevo, se volete. Le spaccature istituzionali già avvertite si faranno esplicite: uno spaccamento fra enti locali e Roma, un’autonomia regionale autodichiarata, una ribellione delle istituzioni locali contro le istituzioni centrali.
Crisi politica, economica e sociale
E non solo: c’è il rischio reale di un collasso del sistema pubblico, un sistema da decenni iperburocratizzato e, pertanto, molto difficile da gestire e coordinare. Un sistema che, ora, nel momento dell’emergenza, non può reggere e che non sta, infatti, reggendo. La sanità, così come la scuola, versano nel caos più assoluto. I dirigenti non sanno da che parte voltarsi, nessuno ha idea di come si debba esattamente procedere. I medici navigano a vista, stremati. I docenti vivono alla giornata, non sapendo se il giorno dopo saranno aperti o no. Chi si assume, nel pubblico, l’onere del comando, in un momento simile? E, soprattutto, chi può comandare un sistema così complesso e variegato?
Infine, c’è l’economia. Il governo naviga a vista, ma la cosa grave è che naviga senza carburante. Si promettono ristori, bonus, blocco dei licenziamenti, ma lo si fa senza avere il becco di un quattrino. L’Italia era in crisi già prima della crisi sanitaria: oggi è in super crisi. Conte pensa di placare la rabbia con i bonus. Ma sbaglia, di grosso. Ciò che non ha capito è che se un’azienda chiude, poi, finita la crisi sanitaria, non riapre per miracolo: un’azienda si costruisce negli anni. Se un’azienda chiude, la sua clientela può essere – e spesso è – assorbita da un’altra azienda; se un’azienda chiude, poi ha bisogno di soldi, tanti soldi, per riaprire (non del bonus). I bonus e i ristori sono camomille per far addormentare la gente: non spingono le persone a fare, non nutrono quello spirito di iniziativa che è parte essenziale dell’imprenditoria. C’è odore di morte, in Italia: di morte dello spirito e di morte fisica.
Edoardo Santelli