L’esodo giuliano dalmata e il “treno della vergogna”
Come noto, in seguito alla conquista dei territori del confine italiano orientale da parte delle armate titine, si creò a partire da quei luoghi una vasta diaspora della popolazione italiana invisa al nuovo regime per ragioni etniche, politiche e sociali. L’esodo giuliano dalmata coinvolse tra le 250mila e le 300mila persone.
Come vennero accolti, questi compatrioti cacciati dalle loro case? Fu umanitaria, solidale, accogliente l’Italia dell’epoca? Quelle persone che fuggivano dalla guerra e dalla persecuzione, come tanti africani di oggi, ma che in più erano nostri fratelli di sangue – cosa che, oltre a un obbligo morale supplementare che dovrebbe essere evidente, comporta anche difficoltà di integrazione infinitamente minori – furono considerati “una risorsa”?
L’esempio del cosiddetto “treno della vergogna” basta per illustrare quale fu la reazione dei progressisti dell’epoca. Il convoglio navale partì
Il treno venne fatto ripartire per Parma dove finalmente gli esuli furono accuditi. Il giornalista de l’Unità Tommaso Giglio, poi direttore de L’Espresso, scrisse un articolo il cui titolo recitava “Chissà dove finirà il treno dei fascisti?”.
Intanto a Venezia i facchini rifiutavano di sbarcare i bagagli dei profughi, mentre ad Altamura gli esuli vennero accolti in un ex campo di prigionia dal quale ci si era dimenticati di rimuovere i cavalli di Frisia. Il ministero degli Interni dispose che ad essi si prendessero le impronte digitali.
La questione algerina e i Pieds-noirs francesi
Un altro esempio, stavolta tratto dalla storia francese. I Pieds-noirs, come noto, sono i francesi d’Algeria rimpatriati a partire dal 1962. Tra la fine della primavera e il settembre di quell’anno, 900.000 francesi lasciarono l’Algeria, sollecitati umanitariamente anche dal dialogante slogan degli algerini, “la valise ou le cercueil”, la valigia o la bara. Molti dei francesi che sbarcavano vivevano in Algeria da generazioni e non erano mai stati in Francia.
Esattamente come gli esuli istriani, i Pieds-noirs venivano considerati dalla sinistra francese dei nemici politici e sociali, tutti in blocco associati all’Oas e al latifondo sfruttatore così come tutti i giuliano dalmati erano considerati fascisti e borghesi in fuga dal paradiso socialista titino per egoismo di classe. In realtà i tre quarti dei francesi d’Algeria avevano un reddito del 20% inferiore di quello medio dei francesi residenti nell’Esagono. Quelli davvero ricchi non erano che il 3%, per la maggior parte si trattava di operai o piccoli impiegati, artigiani, con livelli di scolarizzazione raramente superiori alla scuola dell’obbligo. Tra gli agricoltori, solo il 5% erano proprietari delle terre che lavoravano.
Arrivati a Marsiglia, furono ricevuti dai portuali con cartelli ostili tipo “A mare i Pieds-noirs”, mentre il sindaco socialista di Marsiglia, Gaston Defferre, dichiarava, nel luglio 1962: “Marsiglia ha 150.000 abitanti di troppo, i Pieds-Noirs vadano a reinserirsi altrove”.
Odio antinazionale
Insomma, quando la sinistra ha avuto occasione di essere solidale e accogliente, quando ha potuto mostrare la sua capacità di superare gli stereotipi e la logica di parte, ha dato questi esempi: violenza, chiusura, linciaggio, persino sadismo. E allora perché oggi dà lezioni a tutti, insegnando come si pratica l’integrazione e perché è necessario spalancare le porte? Semplice, perché odia la propria nazione. Il motivo per cui ieri chiudeva le porte è lo stesso per cui oggi le apre. L’accoglienza degli immigrati viene predicata e messa in pratica oltre ogni plausibile limite di sostenibilità solo perché si tratta di non italiani e non europei. Il che è certo del buon materiale per una seduta di psicanalisi collettiva, ma sancisce anche la parola fine rispetto a ogni ulteriore lezione di etica.