Roma, 7 giu – A Venezia scoprono l’acqua… alta. Non che sia una novità. Nei fatti, il Mo.s.e. -acronimo dal sapore ironicamente quanto volutamente biblico- è stato progettato proprio per difendere la città dalle mareggiate dovute all’innalzamento del livello dei mari, che rischia di lasciare quei campi e calli di straordinaria, storica bellezza ai capricci ed agli umori dell’Adriatico. I primi tentativi di individuare una soluzione risalgono al 1966, a seguito di una severa mareggiata. Solo nel 2016 è previsto il termine dei lavori. Cinquant’anni esatti. La classica infrastruttura all’italiana, con tempi nell’ordine dei decenni per la preparazione, la progettazione, la stima, l’analisi delle alternative e l’ovvio l’insorgere dei sempre presenti comitati per il “No” indiscriminato a qualsiasi cosa, pensiero, parola, opera od omissione che sia.
Il Modulo sperimentale elettromeccanico (questo il nome per esteso del sistema di paratie mobili alle bocche di porto) è realizzazione mastodontica quanto allo stesso tempo necessaria. Alternative concrete e fattibili per evitare il progressivo inabissarsi dei fondali cittadini, per ora, non ne esistono. Poi certo, semmai la questione non è se l’opera vien fatta ma piuttosto come viene ad essere svolta. E per ora è quello dei costi l’unico innalzamento sensibile e di rilievo, ben al di là dei marosi che costringono i residenti sul Canal Grande a dotarsi di idrovore. Certo, un aumento dei costi in corso di lavori è assolutamente fisiologico e dovuto alle problematiche non prevedibili sulla carta ma che emergono quando si dà il via alle ruspe – o alle draghe, in questo caso. Diverso il discorso però se nell’arco di dieci anni la lievitazione incontrollata si attesta a niente meno che 1.3 miliardi aggiuntivi. Il motivo? Le deroghe contenute in una legge, la “Salva Venezia” del 1984, che prevede la possibilità di escludere aste d’appalto per l’assegnazione dei lavori. Deroghe così forti tanto che nemmeno la Commissione Europea è riuscita a imporre un cambio di marcia. Segno che quando l’intero arco costituzionale si muove compatto, i pugni a Bruxelles è capace di batterli per davvero.
Sì, l’intero arco costituzionale. Perché il sistema che sembra emergere dalla sequela di arresti è del tutto bi-partisan. Per quanto riguarda i nomi di spicco si va dal Pdl con l’ex governatore, Giancarlo Galan, al Partito Democratico con l’attuale sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni. Senza dimenticare le cooperative che attraverso la potentissima bolognese e “rossa” CCC partecipano, insieme a grandi imprese private, al Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dei lavori. E’ proprio attraverso il consorzio che, nelle ipotesi dei magistrati, sarebbe transitato almeno un miliardo di euro fra consulenze dubbie e false fatturazioni. Spunta anche un pizzino di contabilità informale, dal quale si evincerebbero i contributi generosamente elargiti a parlamentari Pd e Pdl. Ai primi tramite le cooperative -nello specifico la veneta Coveco- che nella socialdemocrazia 2.0 sono probabilmente più organiche ai partiti rispetto ai tempi d’oro del connubio Coop – Pci.
Un sistema di potere consolidato ed oliato, affidato a mani già esperte ed ing rado di condizionare la realizzazione di qualsiasi opera. Non solo il Mose, dato che si va dal passante di Mestre alla prevista integrazione di tangenziali cittadine che dovrebbe collegare i capoluoghi veneti in parallelo all’autostrada A4. Sia detto per inciso: nulla invece sul fronte dell’alta velocità, che pur dovrebbe essere una priorità in una delle regioni più ricche del nord Italia e quindi d’Europa. Un sistema di potere che ricorda molto la Milano da bere sulla quale costruì le sue fortune il pool di mani pulite. Anzi, stando a quanto emerge dalle prime battute sembra si possa scoperchiare ben di peggio. Senza dimenticare quanto già emerso -e si rileva sempre il protagonismo del Pd- fra Umbria e Firenze, a proposito degli appalti per la Tav.
Dall’arresto di Mario Chiesa partì la vicenda che portò al tracollo della prima repubblica. Dalle bocche di porto di Venezia può prendere il via un secondo terre(mare)moto? L’unico dubbio, al momento, è sul fatto che a questa tornata da smantellare rimane giusto qualche scarsa briciola. I predatori veraci pronti a banchettare avrebbero così ben poco da spartirsi, senza considerare che le privatizzazioni sono già ripartite in grande stile e senza la necessità di una spinta. Forse la seconda repubblica può dormire sonni tranquilli.
Filippo Burla