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Paragone e i suoi fratelli: quei Cinque Stelle contro l’inciucio (per ora)

by Eugenio Palazzini
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Roma, 27 ago – “Non fatelo! Per il bene dell’Italia, per il bene del MoVimento 5 Stelle e dei suoi valori fondanti”. Davide Barillari, consigliere pentastellato della Regione Lazio, ieri su Twitter ha sintetizzato così quello che sembra un sentimento comune ad alcuni esponenti del M5S: l’inciucio con il Pd non s’ha da fare. Oggi Barillari ha rilanciato con un post su Facebook, spiegando meglio il suo punto di vista a riguardo: “Sono nato 5 stelle e di sicuro non morirò piddino. Non dimentico mafiacapitale. Non dimentico Bibbiano. Non dimentico i 1043 arrestati PD negli ultimi 7 anni. Insieme a tanti altri portavoce, a vari livelli, stiamo discutendo se arrivare alle dimissioni in blocco oppure a percorrere una nuova strada per far rinascere i valori del M5S…”.

Avviso alla gentile dirigenza: perplessità degli storici elettori a parte, spesso condite da infuocati attacchi sparati sulla buon vecchia rete (verde pianeta populista e traditor), anche tra gli eletti non tira un’aria di spassionato gradimento per il voltafaccia di governo. Tra nostalgia per i Vaffa del bel tempo che fu e terrore di scomparire, in casa Cinque Stelle si odono i primi tuoni che annunciano la tempesta.

Paragone non ci sta

Su tutti spicca il nome di Gianluigi Paragone, che ha dichiarato senza mezzi termine che non accetterà l’accordo col Pd: “Per coerenza, il mio voto di fiducia non arriverà. Per il semplice motivo che questa sinistra è la peggiore sinistra possibile. Il Movimento 5 Stelle poteva e può essere l’anima socialista di questo Paese…”. Il giornalista deputato ha poi ventilato, come Barillari, le sue dimissioni in caso di accordo: “Auguri…io per il tempo che rimarrò in Parlamento, visto che prenderò ovviamente le mie decisioni, li guarderò con occhio critico”. 

Dibba contro il deep state

Poche voci fuori dal coro? Forse, eppure anche il più battagliero dei grillini ortodossi, l’ingombrante (per Di Maio) Alessandro Di Battista, ha fatto intendere che alla fin fine era meglio Salvini. “NO AI BENETTON, NO A MALAGÒ, NO AI CONFLITTI DI INTERESSE. Insisto. Un grande potere contrattuale deve imporre grande coraggio sui temi”. Dibba non esclude esplicitamente l’inciucio, ma tra le righe fa capire che a lui non piace l’idea di governare insieme ai massimi rappresentanti del sistema. “È il “deep State” (lo Stato occulto) il nemico principale degli interessi dei cittadini. A me interessa contrastarlo. Sono le mie idee e le idee devono restare protagoniste. Io non ho sentito nessuno del PD pronunciarsi su questo in questi giorni”.

Giravolta della Taverna

Pretendere che i dem si pronuncino contro la piovra che dagli abissi guida la tanto odiata casta è come pretendere che un grillino apra sul serio il parlamento come una scatoletta di tonno. E in questi casi non andrebbe poi consultata l’impareggiabile voce degli utenti a Cinque Stelle? La piattaforma Rousseau non serve proprio a questo? Se lo chiedono molti elettori e se lo chiedeva la senatrice Paola Taverna qualche giorno fa. La verace pasionaria ci ha però ripensato optando per la piroetta da damigella e rispondendo via Twitter ai “giornali”: se non dovesse fare l’accordo con il Pd, tornando al voto o tra le braccia della Lega, il M5S si estinguerebbe. Viva la sincerità, peccato per le giravolte.

Eugenio Palazzini

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