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Ecco perché i catalani e gli altri secessionisti sono tutti filo-Ue. E viceversa

by La Redazione
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Roma, 8 ott – Già in tempi non sospetti siamo stati quasi i soli a far notare come il processo d’integrazione europea funzioni sostanzialmente sul doppio binario delle cessioni di sovranità sia verso l’alto (Francoforte e Bruxelles) sia verso il basso (le autonomie regionali). Non si tratta di complottismo, per il semplice fatto che quello che i poteri forti vogliono fare solitamente sta scritto nero su bianco per chiunque abbia la pazienza di informarsi al di fuori della stampa sussidiata di regime. Per esempio, basta leggersi “Per l’Europa! Manifesto per una rivoluzione unitaria” di Guy Verhofstadt e Daniel Cohn-Bendit, rispettivamente leader (assai chiacchierati) del partito liberaldemocratico europeo e del partito verde europeo. Si tratta di un totale delirio: smembramento degli Stati nazionali lungo linee di faglia etniche, linguistiche, economiche con la costruzione di entità sub-sovrane a loro volta “federate” a livello europeo. Non è un caso isolato, queste idee per esempio furono fatte proprie decenni addietro dalla Fondazione Agnelli quando sostenne la Lega Nord per aiutare il processo di smantellamento della Prima Repubblica, in particolare nello smantellamento delle partecipazioni statali, fortunosamente non ancora portato a compimento, nonostante tutto.

È un’idea in effetti coerente con quelle espresse dal neoliberale ed antitaliano Gianfranco Miglio, per cui in Italia esisterebbero due aree: una europea che si deve quindi sganciare da una mediterranea, tenute ovviamente insieme da uno “Stato assistenzialista e spendaccione”. La Lega è favorevole infatti ad un aggressivo piano di privatizzazioni, che addirittura scavalca per radicalità quello effettivamente attuato a partire dal governo Amato ad oggi. Era chiarissimo a Miglio: sarà l’Europa a fare la Padania, e non viceversa. Del resto, abbiamo già detto più volte quale è la ragione profonda dietro il sostegno, implicito o esplicito, che gli eurocrati accordano ai secessionismi di ogni sorta: il fatto che esso sia propedeutico ad un Governo minimo su scala continentale. Il che è ovvio: mancando ogni afflato identitario comune fra i popoli europei, mancherebbe anche quella spinta solidaristica necessaria per accettare un comune percorso di sviluppo in senso redistributivo, o addirittura dirigista.

Il Governo federale europeo sarebbe semplicemente lo Stato di polizia che piace tanto ai liberali, quello che “mantiene l’ordine” e risolve le diatribe fra i proprietari, svettando su una moltitudine di autonomie felici degli spiccioli che possono gestirsi in qualche modo. È abbastanza semplice notare come tutti i movimenti secessionisti in Europa (a parte, sembra, quello fiammingo) siano radicalmente, ferocemente e coerentemente europeisti. Non da ultimo quello catalano, vecchia congrega di anarchici che sognano di trasformare Barcellona in un suburba di Nairobi, ma ovviamente dentro all’Ue che ci dona la pace e si oppone ai perfidi populisti.

Non stupisce che anche Beppe Grillo, il leader mediatico della più carnascialesca operazione di Gate Keeping della Storia, si sia espresso già da molti anni in favore della secessione. E non stupisce nemmeno che la “rivoluzione” di Salvini, ammesso e non concesso che sia mai stata una opzione reale, sia tragicomicamente naufragata nel sostegno parolaio ad un referendum indetto dai no borders, ed a quello ben più concreto promosso da Zaia e Maroni nel Lombardo-Veneto. Ieri come oggi, gli schieramenti sono precisi: o l’Italia o il suo contrario, senza possibili mediazioni di sorta.

Matteo Rovatti

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