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Proroga stato di emergenza: un costituzionalista ci spiega perché Conte deve passare dal Parlamento

by La Redazione
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Conte, Aula

Roma, 14 lug – Il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, prof. avv. Giuseppe Conte, è intenzionato a prorogare lo stato di emergenza con rilievo nazionale, ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 1/2018 (Codice della Protezione Civile), attraverso una apposita deliberazione della componente collegiale del Governo al fine di tenere sotto controllo l’agente patogeno.

Un problema di legittimità

In primo luogo, è doveroso constatare, in ragione della stessa previsione legislativa (art. 24, comma 5), l’assenza di qualunque controllo preventivo di legittimità sul provvedimento deliberativo. Un vuoto normativo pericoloso che attribuisce al Consiglio dei Ministri un potere ampiamente discrezionale e, nel caso di specie, funzionale a mantenere il potere vista la debolezza della attuale maggioranza parlamentare e le sue divisioni interne. I gruppi parlamentari di Italia Viva e il Partito Democratico hanno chiesto a Conte di riferire in Parlamento. Infatti, in una prospettiva specificamente costituzionale, la prassi delle emergenze prorogate, come quelle in materia sanitaria, determina un impatto non solo sul sistema delle fonti del diritto, stante la deroga prolungata a interi corpi normativi ad opera dei vari provvedimenti (DPCM, Ordinanze del Capo Dipartimento della Protezione Civile, Ordinanze dei Presidenti delle Giunte regionali), ma anche sulla stessa forma di Governo, facendone venir meno la sua struttura «policentrica» delineata nella Costituzione vigente.

Poteri necessari

In secondo luogo, non si può non rilevare come il Testo fondamentale italiano del 1948, a differenza di altri, non disciplini le situazioni emergenziali le quali rimangono normate a livello di fonti primarie con l’unica eccezione della dichiarazione dello stato di guerra (art. 78 Cost.) dove, da parte delle Camere, vengono conferiti al Governo della Repubblica non tutti i poteri, ma solo quelli «necessari». Al di fuori dell’ordine costituito risultano le cause, piuttosto che le modalità con cui affrontare la criticità senza che il diritto debba adattarsi alle contingenze registrabili sul piano fattuale in nome di una concezione dello ius quale «nuvola che galleggia sopra un paesaggio storico» e senza che fatti fuori da ogni riconoscimento finiscano per imporre la loro intrinseca normatività.

Il Parlamento fatto fuori

Siamo in presenza di un complesso normativo che si caratterizza per l’affermazione di un principio generale di non-libertà (sia pur formalmente temporaneo ed ora attenuato, ma al contempo incerto), in cui gli spazi interstiziali di esercizio della stessa si configurano come discrezionali. L’uso dell’emergenza, è bene non dimenticarlo, è per definizione «a tempo». Ogni proroga, dunque, non può non essere adeguatamente giustificata di fronte al Parlamento, altrimenti non è né ragionevole, né convincente. L’Esecutivo, invece, nel totale silenzio del Presidente della Repubblica di fronte a un annuncio di tale portata, sta legittimando un vero e proprio diritto parallelo e alternativo rispetto a quello esistente. Ha scritto recentemente il prof. Gaetano Azzariti: «Quando qualcuno (Silla prima, Cesare poi) ha pensato di estendere lo stato di emergenza e si fece confermare oltre il tempo i pieni poteri, ecco che la dittatura da «commissaria» si fece «sovrana», e la Repubblica capitolò».

Daniele Trabucco – Docente di Diritto Costituzionale italiano e comparato e Dottrina dello Stato 

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