Roma, 9 gen – La tensione tra le forze della maggioranza continua a salire. Vertiginosamente. Lo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte – emanazione del M5S – ha ormai ingaggiato uno scontro aperto con il vicepremier leghista Matteo Salvini. Galeotta fu, anche questa volta, l’immigrazione. In merito ai 49 migranti di Sea Watch, Conte – con Di Maio battistrada – ha apertamente sfidato il leader della Lega con toni molto forti, del tutto inconsueti per una figura moderata come la sua: «Se non li faremo sbarcare, li andrò a prendere con l’aereo e li riporterò». L’uscita, ovviamente, non è affatto piaciuta a Salvini, che ha replicato a muso duro: «I porti sono e restano chiusi».
Da dove nascono però queste frizioni? In effetti Di Maio – e quindi Conte – negli ultimi mesi avevano agito di concerto con il ministro dell’Interno, anche se questo voleva dire destare malumori all’interno del M5S. Non è del resto un mistero che l’ala più sinistrorsa del movimento, che si è coagulata attorno al presidente della Camera Roberto Fico, non ha mai digerito l’alleanza con Salvini – e in particolare le sue politiche in tema di immigrazione – e anzi ha sempre rimproverato a Di Maio di aver ceduto l’egemonia nel governo al segretario della Lega. Per il ministro del Lavoro, dunque, si è aperto un serio problema di leadership all’interno del suo partito.
Ma perché ora, e proprio ora, vi è stato questo cambio di rotta? Innanzitutto perché Di Maio – avendo portato a casa il taglio ai vitalizi e il reddito di cittadinanza con l’ultima manovra – ora si sente più a briglia sciolta nel suo obiettivo di ricompattare le fila del M5S e di frenare i concorrenti interni, primo fra tutti Fico. Così si spiega anche lo scongelamento del «globetrotter» Di Battista. E l’immigrazione appare il terreno privilegiato di scontro per indebolire l’egemonia di Salvini nel governo. Ma non è solo un problema di leadership. A maggio, infatti, ci saranno le tanto attese elezioni europee, e Di Maio sta tentando di dare al suo movimento un profilo in grado di differenziarlo dalla Lega salviniana. In questo quadro si inserisce, ad esempio, l’ammiccamento del vicepremier pentastellato al movimento francese dei gilet gialli, cosa che per il Salvini «poliziotto» sarebbe praticamente impossibile. Un endorsement, quello di Di Maio nei confronti dei gilets jaunes, che ovviamente non è stato preso bene da Macron.
Ed è qui che si inserisce Giuseppe Conte. Conclusa la fase iniziale del governo gialloverde, in cui il professore sembrava più un notaio preso per la giacca dai due vicepremier che non un presidente del Consiglio, Conte si sta ora costruendo un suo profilo tutto politico. Un profilo più istituzionale e accomodante in sede internazionale, che lo ha visto definire Angela Merkel «una persona affidabile» e parlare di Jean-Claude Juncker come di «una grande personalità». E da Parigi, non a caso, fanno sapere che l’interlocutore di Macron non è di Maio, ma appunto Conte. Solo in questo modo il presidente del Consiglio ha potuto fare da scudo al vicepremier grillino contro le ire dell’Eliseo. Che queste frizioni tra Lega e M5S possano portare a una caduta del governo nel breve termine, comunque, è altamente improbabile. L’impressione è che sia Di Maio che Salvini stiano aspettando i risultati delle Europee per valutare i nuovi rapporti di forza. A quel punto, e solo a quel punto, si potrà capire a chi converrebbe mantenere in vita il governo e chi potrebbe invece spingere per andare a elezioni anticipate.
Valerio Benedetti
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[…] entrambe, mentre la Lega è nettamente a favore. E per ripagare il duo Conte-Di Maio per il loro strappo sugli sbarchi, Salvini ha spiazzato tutti annunciando a Porta a porta di voler indire un referendum sulla Tav. […]