Roma, 12 ott – Genova, la città che dopo la prima visita ti resta sempre dentro, che non finisci mai di scoprire e annusare, col centro storico più grande d’Europa, è stata colpita ancora una volta, duramente e al cuore, da una valanga di acqua arrivata a rovesciare perfino 700 litri per metro quadro in poco più di due giorni: come a dire, più o meno 5mila tonnellate su un campo di calcio, accelerate dalle formidabili pendenze di una terra bellissima stretta tra mare e montagne.
L’alluvione, una ricorrenza sinistra per una terra, praticamente l’intera Italia, aspra, fantastica e difficile, che si è illusa – credendosi di pianura – che eventi come questo appartenessero a un passato di buio e fatica.
L’alluvione, una ricorrenza sempre più frequente nei suoi tratti di ormai presunta eccezionalità, che dalla tragedia della Sardegna di meno di un anno fa, cui rimandiamo per ulteriori dati storici, ci consegna una grande città nuovamente ferita ed eroicamente già all’opera per rialzarsi.
Lontani da qualsiasi speculazione sulla tragedia, non possiamo tuttavia evitare di notare come alcune autorità abbiano da subito alzato il dito contro una mancata allerta; non conosciamo i dettagli delle procedure interne tra Regione Liguria, Protezione Civile, Prefetture, e così via, ma sappiamo almeno leggere le carte meteorologiche. Abbiamo salvato alcune previsioni oggettive delle piogge previste dai modelli meteorologici del LaMMA, il servizio meteo regionale della Toscana, disponibili liberamente per tutti. Ebbene, le previsioni prodotte nel pomeriggio di mercoledì 8 ottobre indicavano per le 48 ore successive circa 200 mm di pioggia a Genova e a monte della città. Con questi valori, sebbene sottostimati rispetto a quanto avvenuto in alcuni punti ma piuttosto accurati rispetto alla media e praticamente perfetti in quanto alla localizzazione, non si può certo dire che l’evento non fosse stato previsto.
In altre parole, disponiamo in Italia di servizi meteorologici efficienti e allo stato dell’arte, in grado di prevedere accuratamente i fenomeni atmosferici potenzialmente pericolosi.
D’altra parte, cosa si sarebbe potuto risolvere con una procedura d’allerta completamente dispiegata? Evacuare la città? Salvare quell’unica vita che tragicamente è stata persa, e che eppure pare un miracolo data la consistenza dell’evento? Non lo sapremo mai, quello che è certo è che saranno molte centinaia di milioni di Euro i danni causati dall’alluvione, se non ancora di più.
Quello che è altrettanto certo è che, come l’anno scorso in Sardegna, queste tragedie sono ormai la norma e presentano un elemento ricorrente che sappiamo perfettamente essere all’origine non tanto di questi eventi quanto della loro incredibile intensità: la temperatura del mare.
Nella giornata del 9 Ottobre, nel pieno dell’evento, si osservava una temperatura superficiale del Mar Mediterraneo, intorno al Mar Ligure, superiore a 2.5°C, fino a valori ben superiori a 3°C, che è una enormità; eppure la scorsa estate non è certo stata torrida, anzi. Il problema è che la temperatura del mare cresce, mediamente, almeno dal 1980, quando sono iniziate le osservazioni meteorologiche da satellite, tanto che oggi è oltre 1,5°C più calda rispetto a 35 anni fa, e negli anni intorno al 2005-2007 la quantità di calore immagazzinata nel Mediterraneo occidentale è improvvisamente ed enormemente aumentata, così che sono sufficienti poche settimane di caldo anomalo, come quelle di gran parte dei settembre e di questi primi dieci giorni di ottobre, per “risvegliare il mostro” e scaldare il mare fino in superficie. Un mare più caldo evapora molto di più, inoltre riscalda l’aria che aumenta così la propria capacità di sostenere a lungo le piogge più intense. Questa è la fisica e la termodinamica, c’è poco da fare.
Sia che si voglia attribuire questo sconvolgente mutamento dello stato fisico del Mediterraneo ai cambiamenti climatici prodotti dai gas a effetto serra, come ormai tutte le evidenze scientifiche suggeriscono, sia che ci si ostini a considerarlo una fluttuazione naturale, l’inerzia del mare è talmente grande che la tendenza osservata non potrà che continuare, o comunque non si invertirà, ancora per parecchi decenni.
Anziché cedere al fatalismo, cosa dovrebbe fare una Nazione seria a questo punto se non affrontare con coraggio la situazione e mettere mano a una gigantesca serie di opere pubbliche volte a scongiurare le conseguenze di questo tipo di eventi, magari sulla falsariga di quello che è stato fatto dal 2000 per il bacino dell’Arno?
Il costo di queste opere, per grande che sia, sarà comunque molto inferiore rispetto ai costi giganteschi delle alluvioni, non solo diretti ma anche derivanti dal blocco prolungato o perfino dalla cessazione di molte attività economiche, industriali e commerciali. Chissà cosa ne pensano i nostri economisti rigoristi e liberisti impegnati sui punti decimali del debito pubblico…
Francesco Meneguzzo