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Ciò che sappiamo dello scandalo ong: chat, scafisti e “stipendi da 10mila euro”

by Giorgio Nigra
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Roma, 4 ago – Che cosa sappiamo, al momento, sulla ong tedesca Jugend Rettet, accusata dalla procura di Trapani di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina? L’associazione è stata fondata un paio di anni fa da un gruppo di studenti tedeschi che hanno messo insieme donazioni per adattare al soccorso un vecchio peschereccio, la Iuventa. Tale nave al momento è sotto sequestro a Lampedusa. Si tratta di una vecchia barca malandata, piuttosto piccola rispetto alle altre che circolano nel Mediterraneo. La Iuventa non veniva mai in Italia: si limitava ad aggirarsi al limite delle acque libiche, o oltre di esso, per raccogliere gli immigrati e poi effettuare trasbordi su altre navi, che li avrebbero portati nei nostri porti.

L’indagine è partita in seguito alle lamentele delle altre ong sul comportamento spregiudicato della Iuventa, che aveva opposto un deciso no alla proposta lanciata da Msf e Save the Children di un arretramento di tutte le navi umanitarie sulla linea delle 24 miglia. Il team della Iuventa interviene invece praticamente a ridosso delle coste libiche, arrivando persino ad una distanza minima di 1,3 miglia, per caricare gli immigrati trasportati dai trafficanti. Figurarsi se Jugend Rettet poteva firmare il codice di condotta del Viminale. Secondo i magistrati, la Iuventa ha raccolto immigrati da imbarcazioni che non sembravano sul punto di affondare, con modalità che lasciano chiaramente trasparire un accordo con gli scafisti. Scrivono i magistrati: “Seppure questa imbarcazione in qualche caso intervenga per salvare vite umane, in più casi invece non agisce in presenza di un imminente pericolo di vita. I migranti vengono scortati dai trafficanti libici e consegnati non lontano dalle coste all’equipaggio della Iuventa. Non si tratta dunque di migranti salvati, ma consegnati”. Secondo le indagini, che si sono svolte anche con agenti infiltrati su altre imbarcazioni e microspie installate a bordo della nave, l’equipaggio della Iuventa si accordava con gli scafisti per trovarsi in luoghi e momenti specifici in modo da essere pronta a raccogliere gli immigrati.

Sono state diffuse delle fotografie che provano incontri tra un gommone della Iuventa e un’imbarcazione proveniente dalla Libia poco prima che dalle coste libiche arrivassero delle navi cariche di immigrati. Un altro episodio riguarda alcuni barconi di legno utilizzati dagli immigrati che l’equipaggio della Iuventa avrebbe riportato verso le acque libiche, lasciandoli poi alla deriva, per permettere ai trafficanti di recuperarli. A tutte queste operazioni ha spesso assistito la Guardia costiera libica, che non è mai intervenuta. Non è tutto. Agli atti risulta che la leader del team della Iuventa, Katrin, e un ragazzo, ignari di essere intercettati in mezzo al mare “parlano del previsto inizio missione per la mezzanotte del giorno successivo”. Sapere con 24 ore di anticipo dell’arrivo di un barcone è qualcosa che va ancora oltre un’intesa informale e momentanea con gli scafisti. Fa pensare, semmai, a un vero coordinamento sistematico. La Procura di Trapani sta cercando eventuali contatti telefonici tra gli scafisti e il personale della nave.

Dell’ong tedesca parlano tra di loro, intercettati, anche i componenti della ditta di security che opera a bordo della Vos Hestia, la nave di Save the Children, e parlano di una sorta di chat su Whattsapp tra i responsabili delle navi umanitarie su cui arriverebbero le segnalazioni dei barconi da soccorrere. Una chat sulla quale, sempre secondo i due operatori della security, sarebbero spesso arrivati i messaggi del sacerdote eritreo Don Mussie Zerai, da sempre punto di riferimento degli eritrei che tentano la traversata. Un’altra pista da indagare a fondo.

“Al momento non pare abbiano percepito compensi”, ha detto il procuratore di Trapani Ambrogio Cartosio. Occorre tuttavia far luce su ciò che sembrerebbe emergere dalle intercettazioni dei due operatori di Save the children. “Eh sì – dice uno di loro – cioè uno che fa il volontario che si piglia 10mila euro…”. E ancora: “Tipo quelli là, quelli erano banditi del mare, non soccorritori. Hanno fatto più morti loro che loro da soli coi gommoni”. Dalle intercettazioni emerge come il suo equipaggio fosse assolutamente fanatizzato. Sulla prua, la nave aveva spesso una scritta che recitava: “FUCK IMRCC!”, cioè “Fanculo il coordinamento internazionale dei soccorsi”. E poi, c’è l’episodio del 26 giugno: sull’albero di poppa della nave viene issata la bandiera libica. Con un’altra intercettazione di una donna della Iuventa che dice che non intende consegnare “alla polizia materiale video fotografico relativo ai soccorsi e immagine di soggetti che conducono imbarcazioni di migranti in quanto potrebbero essere arrestati”. “Quella nave correva troppi rischi, caricavano troppe persone in contemporanea per avere visibilità e non facevano squadra con altre ong”, ha raccontato al Giornale Paolo Narcisi, medico di “Rainbow for Africa”, che a maggio ha ritirato i suoi medici dalla missione a bordo della Iuventa. Narcisi racconta che “con la loro nave da 33 metri ci si è trovati ad avere 400 persone a bordo e 1500 aggrappate alle murate. Così rischiano tutti, anche gli equipaggi”.

Giorgio Nigra

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Tony 4 Agosto 2017 - 12:16

…il cosiddetto III settore è un’industria in piena regola… con grandi utili!!

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