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Coronavirus: picco dell’epidemia il 28, anzi no. Borrelli: “Forse tra due settimane

by Adolfo Spezzaferro
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coronavirus

Roma, 20 mar – Fermi tutti: tra otto giorni raggiungeremo il picco dell’epidemia di coronavirus. Anzi no. Siamo al solito balletto di numeri e dichiarazioni: la comunicazione del governo giallofucsia verrà annoverata a lungo per aver alimentato gran parte del panico tra la popolazione ai tempi del Covid-19. Stavolta, almeno stando a un grafico pubblicato sul sito Dagospia e attribuito al Comitato scientifico di Palazzo Chigi il picco dell’epidemia dovrebbe arrivare il 28 marzo. Dopodiché i nuovi casi dovrebbero cominciare a diminuire, i decessi rimanere invariati e le guarigioni cominciare ad aumentare. Il peggio a quel punto sarebbe passato. Sempre secondo i dati riportati dal grafico i nuovi casi tenderebbero a zero soltanto a partire dal 7-8 aprile in poi. Il numero complessivo di decessi sarebbe in ogni caso drammatico: circa 5-6mila, ma non dovrebbe superare quota 10mila. I casi in trattamento scenderebbero in un mese da circa 50mila nel picco a circa 23mila verso il 20 aprile.
Ecco il grafico pubblicato da Dagospia:

picco

Borrelli: “Forse picco tra due settimane”

Ma sempre oggi, mentre il grafico rimbalza da Dagospia sugli altri giornali online, il commissario per l’emergenza, il capo della Protezione civile Angelo Borrelli smentisce le previsioni, chiarendo che sì “le fanno gli esperti, sicuramente è giusto farle ma poi bisogna vedere se vengono confermate dai fatti. Forse il picco non arriverà la prossima settimana ma quella dopo“. Ai microfoni di Rai2 nel corso della trasmissione I Lunatici . “Tutti dicono che stiamo andando verso il picco e ci auguriamo che sia quanto prima”, aggiunge, sottolineando che “l’ottimismo e la speranza ci devono venire dai comportamenti che stanno adottando i nostri connazionali. Serve assoluta prudenza, bisogna uscire il meno possibile. È fondamentale per contenere i contagi. Bisogna evitare i contatti umani e muoversi il meno possibile. Evitare di uscire di casa se non strettamente necessario. Gli epidemiologi ci dicono che se noi conduciamo una vita assolutamente normale la percentuale di persone che viene colpita dal coronavirus è molto più alta. Per questo si adottano misure come quelle adottate in Cina. La mascherina se si mantengono le distanze di sicurezza non serve a nulla”. E, conclude, in ogni caso “sarebbe giusto proibire l’attività sportiva all’aperto: se dobbiamo fare dei sacrifici, dobbiamo farli per tutte le ragioni. Bisogna evitare anche la corsa all’aperto”.

Il dato politico è che, partendo dal presupposto che un modello matematico sull’andamento dell’epidemia su scala nazionale non sarebbe attendibile, a causa della eterogeneità della diffusione in base ai focolai del virus e di alcuni dati falsati a seconda della regione e del metodo utilizzato, la comunicazione istituzionale resta ancora una fonte di contagio: di confusione, quanto meno.

Adolfo Spezzaferro

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