
La storia del finanziamento pubblico affonda però le proprie radici in tempi decisamente più datati, tanto che potremmo chiamarli (non senza una punta d’ironia) “non sospetti”. Già nel 1993 infatti, in piena bufera post Tangentopoli, un referendum popolare aveva di fatto abolito questa pratica, sull’onda lunga di uno scandalo che aveva coinvolto l’intero arco costituzionale in un baratro di corruzione, finanziamenti illeciti e vere e proprie spartizioni di denaro pubblico. Si potrebbe discutere ora sul fatto che a farne le spese alla fine di tutto fosse stato esclusivamente il Psi di Craxi, ma tant’è che con il governo Amato la questione, uscita dalla porta, si ripresentò puntualmente entrando dalla finestra con l’introduzione dei rimborsi elettorali. Insomma, una stortura strutturale vecchia di vent’anni ma che ancora tiene banco nel palinsesto politico, riproponendosi ciclicamente come tematica di stringente attualità.
Ci sarebbe a questo punto da ringraziare la prontezza dell’esecutivo tecnico del PD che con la premiata ditta Letta – Renzi ha finalmente risolto l’annoso problema? Non così in fretta, perché la cura a volte si rivela peggiore della malattia. In poche parole per ovviare a quello che indubbiamente è un meccanismo perverso di spreco di risorse economiche statali ci prepariamo ad adottare il sistema tipicamente anglosassone della “privatizzazione” dei partiti politici. Finanziatori privati che comprano letteralmente e indirizzano intere compagini politiche per i propri interessi, la fine di ogni possibilità di autodeterminazione politica nel nome della speculazione più spregiudicata a scapito degli interessi nazionali. Il sogno americano di un George Soros finanziatore e padrino del Partito Democratico di Obama o quello di un Partito Repubblicano legato a doppio filo alla lobby della armi potrebbero a questo punto diventare una terribile realtà in salsa nostrana. L’unica piccola soddisfazione è che di questo passo i rimborsi elettorali, privati o pubblici che siano, saranno una chimera: sembra che l’esercizio del voto ormai sia passato di moda.
Michele de Nicolay