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Il caso Giovanna Pedretti e l’inutilità dei moralismi social

by Michele Iozzino
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Roma, 16 gen – Tra accuse di istigazioni al suicidio e gogne mediatiche sta facendo molto discutere nelle ultime ore la vicenda di Giovanna Pedretti, ristoratrice che si sarebbe tolta la vita a seguito delle critiche ricevute per una recensione social sulla cui autenticità erano stati sollevati numerosi dubbi.

Giovanna Pedretti e quella “strana” recensione

Nell’era del digitale in cui viviamo la realtà sembra esistere solo in quanto residuo. Anzi, quando questa sopravvivenza della realtà riesce a emergere quasi ce ne sorprendiamo, come se si trattasse di un ostacolo non previsto. Così, che l’indignazione social possa avere effetti nella vita vera, appare come qualcosa di inatteso. Nel caso di Giovanna Pedretti ciò è doppiamente vero, ma andiamo con ordine. La ristoratrice aveva pubblicato sui propri social la recensione di un cliente che si lamentava di essersi ritrovato a mangiare vicino a una coppia di omosessuali e un disabile per poi, nonostante questo, lodare il cibo del ristorante. Recensione a cui la Pedretti aveva risposto criticando il cliente e sbandierando la propria inclusività e tolleranza. Un botte e risposta che aveva avuto un ampio eco mediatico, ma che a molti era sembrato falso. A rilanciare i primi dubbi sulla versione della Pedretti era stata Selvaggia Lucarelli, mostrando come la recensione non si trovasse online, se non nel post della ristoratrice, e che la risposta di quest’ultima sembrasse essere fotoshoppata. In molti hanno quindi pensato che la recensione fosse stata opera della stessa Pedretti che l’avrebbe usata per fare bella figura. Un capovolgimento di fronte che ha l’ha fatta passare da paladina elogiata da tutti i giornali, all’essere una mentitrice e un’opportunista. Proprio questa seconda svolta ha fatto sì che la Lucarelli finisse nel mirino per aver generato l’ondata di commenti negativi che avrebbero causato il suicidio della Pedretti.

L’indignazione social genera mostri

Ancora una volta sarebbe stato quindi l’odio del web a causare una nuova vittima. Ma le cose non sono così semplici. Infatti, non si può nascondere la responsabilità di chi ha diffuso una notizia non verificata, come quella della recensione, solamente perché coerente con una certa narrazione o una fake news “a fin di bene”. Anzi, è proprio questa ricerca e spettacolarizzazione dell’indignazione a produrre mostri. Al di là delle gogne mediatiche, come giustamente nota Andrea Venanzoni, l’intera vicenda sembra reggersi sul narcisismo, tanto degli accusatori che della vittima. Così, una volta esauritosi lo sciame digitale, con il suo sensazionalismo e il suo sciatto moralismo, l’intera vicenda ci appare come qualcosa di paradossale e opaco, inutilmente finito sotto i riflettori dell’isteria social.

Michele Iozzino

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