Roma, 2 ago – Ricorre quest’anno il centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Nel 2015 invece festeggeremo l’ingresso dell’Italia nel conflitto che ci vide vittoriosi. Fredde le celebrazioni e poco entusiasta l’atteggiamento del Governo, fino a questo momento.
Il 26 giugno, Renzi ha partecipato, con tutti i capi di Stato europei, a Ypres alla celebrazione generale del centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. “L’Europa è una storia di pace dopo anni di guerra” – così il Presidente del Consiglio ha liquidato la ricorrenza, per poi dilungarsi con i cronisti sulla candidatura di Juncker, eletto, qualche giorno dopo, Presidente della Commissione europea. Eppure, sul sito ufficiale dedicato dal Governo alle celebrazioni, si legge che lo scopo primo è quello di “ricordare la Grande Guerra, l’eroismo e il sacrificio dei soldati e della cittadinanza, e tutte le vicende – politiche, culturali, civili – ad essa legate come episodio di fondamentale importanza nel processo di costruzione dell’identità europea, della nostra storia nazionale, e di coesione tra gli italiani di ogni regione”. Analizzando il programma redatto dal Governo, si nota, come in molti altri Paesi europei, la presenza di piccoli eventi locali, concerti, conferenze e i soliti incontri con le scuole utili solo a saltare qualche interrogazione. Diversa la situazione in Francia dove si contano numerosissimi eventi di portata nazionale.
La guerra è invisa alle mamme e alle fidanzate. Dalla guerra nasce la morte, nella guerra domina la strage. Ma questo non autorizza nessuno, armato di retorica pacifista, a non celebrare il sacrificio di chi, in quella guerra, vide un dovere, pur disprezzandone i massacri. Per questo sono insensate le proposte di chi vorrebbe cambiare il nome di una città, come nel caso di Ronchi dei Legionari o di Vittorio Veneto. Così la pensa lo storico Mario Isnenghi, il massimo studioso della Grande Guerra: “Se devo dire la mia sensazione è che oggi a nessuno importi molto di capire quello che pensavano loro 100 anni fa; da alcuni anni persino la storiografia è dominata solamente dalla idea della “assurdità” della guerra. Non sarebbe solo una guerra “tragica” e crudele, ma palesemente insensata. Così si rottama la storia”.
Si esprime ancora meglio Ungaretti, afflitto dai continui massacri di cui era testimone, ma capace di scrivere sul fronte che la poesia è “la limpida meraviglia di un delirante fermento”. Dimenticheremo dunque il santo ardore di D’Annunzio, l’energia di Marinetti, Junger e il maledetto Céline? Ed Enrico Toti, Nazario Sauro, Francesco Baracca, saranno solo i nomi delle vie delle città italiane, oppure degli esempi di un valore da imitare?
Nella Prima Guerra mondiale non ci furono solo ammirevoli esempi di genio e di coraggio. Ci furono i Governi che valutavano la guerra, come dice Isnenghi “freddamente, senza nessuna mistica, sulla base degli interessi geopolitici”. Ci furono i Nitti e i Giolitti, la politica arrendevole della svendita nazionale e della “vittoria mutilata”, che oggi si reincarna in Monti e Renzi. Anche per questo la Grande Guerra va ricordata.
Ma un altro motivo dovrebbe accendere le celebrazioni di questo evento. Per la prima volta, alla parola Italia si associava una parola nuova e potente: Vittoria.
Roberto Guiscardo
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[…] Il centenario della Grande Guerra e quella “celebrazione mutilata” […]