Bali, 10 dic – Doveva essere il completamento dei negoziati tenuti a Doha nel 2001. Nella sostanza si tratta di un accordo a metà che non rispecchia le aspettative della vigilia.
I sorrisi e le dichiarazioni di circostanza non mancano, probabilmente dovuti più al trovarsi in una ridente località turistica internazionale che ai risultati raggiunti. Se l’obiettivo era proseguire nella strada tracciata dell’abbattimento delle barriere doganali –tariffarie e non– a consuntivo non sembra che le premesse siano state soddisfatte. Nei fatti, nessun passo avanti e’ stato compiuto rispetto alle aspettative del “round” precedente, tenuto nella capitale del Qatar all’inizio del nuovo millennio quando sembrava che la deregolamentazione internazionale dovesse essere il pilastro di sostegno ad un’economia sempre più globalizzata.
A mordere il freno non sono, peraltro, quelle economie già mature che nel gioco in perdita dei fattori produttivi a basso costo hanno solo da rimetterci. Le principali problematiche sono infatti sorte dalle posizioni di India e Cuba: la prima sulla sicurezza delle derrate alimentari, mentre la seconda in termini più politici sull’embargo statunitense, spalleggiata in questa posizione da numerosi paesi dell’America latina. Stante il principio per cui gli accordi finali sono presi all’unanimità, è quanto meno significativo che siano proprio i paesi ancora cosiddetti “in via di sviluppo” ad imprimere una sterzata e non nel senso voluto dall’organizzazione internazionale. Segno questo che probabilmente un modello di sviluppo basato sull’eccessiva interdipendenza non sembra più convincere nemmeno i suoi potenziali beneficiari.
Filippo Burla