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Italia meno attraente per gli investitori esteri. Ma è davvero una cattiva notizia?

by Filippo Burla
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Roma, 12 mag – L’Italia è sempre meno attraente per gli investitori esteri. Questo il quadro tracciato dall’ultimo rapporto Aibe, l’Associazione italiana banche estere, che in collaborazione con il Censis ha fotografato la percezione del sistema-Paese.

Burocrazia, fisco e incertezza politica

Tra i fattori di debolezza, gli investitori esteri segnalano la stabilità politica e specialmente in relazione alle imminenti elezioni europee. Seguono la burocrazia, il carico fiscale e i tempi della giustizia civile. Tra quelli di forza, invece, si segnalano la qualità delle risorse umane e la solidità del sistema bancario.

Gli elementi positivi non compensano tuttavia quelli negativi. E così l’Aibe-index, l’indicatore sintetico che misura la nostra attrattività, attualmente si colloca (in una scala che va da 0 a 100) a livello 42,9, in arretramento rispetto al 43,3 del 2018.

“La rilevazione del 2018, realizzata nei mesi della campagna elettorale, registrava una sorta di disponibilità a scommettere sulla continuità del percorso di riforme”, spiega Guido Rosa, presidente dell’Aibe. Una scommessa che, aggiunge, oggi “sembra persa”.

Quando l’investimento è debito

Se la capacità di attrarre investitori esteri misura la vitalità di un sistema economico, non per questo non nasconde alcune insidie. Da un lato sì, rappresenta la capacità di fare sistema. Dall’altro, però, misura anche una sorta di “dipendenza”.

Perché è vero, il capitale estero rappresenta una risorsa fresca, ricchezza di immediato utilizzo. L’investitore – sia esso nazionale o forestiero – non è però per definizione un cavaliere bianco che interviene gratis et amore dei, ma un operatore economico alla ricerca di un ritorno. Siamo nella più elementare logica della partita doppia: laddove esiste un attivo (l’investimento), di converso esiste anche un passivo (il debito nei confronti dell’investitore). E in questo caso, ammesso che sia possibile fare qualche sorta di “classifica”, parliamo di debito della peggior specie: il debito nei confronti dell’estero, per il cui servizio quote di ricchezza prodotte in Italia ogni anno varcano il confine.

Ciò non significa dover chiudere le frontiere agli investitori esteri, beninteso. Occorre tuttavia comprendere di che tipo di investimenti si sta parlando, tanto più se le condizioni alle quali vengono effettuati ci vedono spesso e volentieri soccombere. Un esempio si tutti il caso Parmalat, con i nuovi proprietari francesi di Lactalis che prima hanno messo le mani sulla cassa (trasferendo oltralpe il “tesoretto” da 770 milioni accumulato negli anni successivi al crac), annunciando poi di voler smembrare il gruppo spostandone anche la gestione operativa.

Filippo Burla

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