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Kabobo devasta carcere e aggredisce agenti: ma non aveva “cambiato vita”?

by Cristina Gauri
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Milano, 20 feb – A quanto pare Kabobo sente di nuovo le “voci”. L’anno scorso giornali come Repubblica avevano titolato commossi a proposito della “nuova vita di Adam Kabobo”: studiava, lavorava in carcere, si stava curando. Ma evidentemente non si è mai sopito il mostro incontrollabile che agita l’anima dell’immigrato ghanese, che l’11 maggio del 2013 scese in strada e uccise, armato di piccone, tre donne e ferì due uomini: l’altro ieri, nel carcere di Opera dove sta scontando una pena detentiva di 20 anni, il pluriomicida è esploso in un accesso di furia devastatrice talmente incontenibile che la polizia penitenziaria si è vista costretta a chiedere l’autorizzazione per sedarlo con un’iniezione di tranquillanti.

La procedura per ottenere questo permesso è però macchinosa e costellata di lungaggini burocratiche: l’autorizzazione al trattamento sanitario obbligatorio (il famoso Tso) va chiesta al Comune, che valuta di caso in caso se approvare o meno la procedura. Nel frattempo, gli agenti non hanno potuto fare altro che contenere alla bell’e meglio il furore folle dell’immigrato, cercando di evitare, per quanto possibile, di trovarsi lungo la traiettoria dei suoi fendenti impazziti. E quando il consenso al trattamento è arrivato, non è di certo stato facile bloccare Kabobo per praticargli l’iniezione.

Una furia, quella del ghanese, simile in tutto e per tutto a quella che nel 2013 lo portò a macellare tre donne a colpi di piccone. All’epoca raccontò ai periti del tribunale che la colpa di questo massacro era da ascriversi a delle “voci che sentivo nella testa” e che evocavano i massacri in corso nel nord del Ghana. I giudici gli avevano quindi concesso l’attenuante del vizio parziale di mente. In un primo momento era stato ospite del Conp – il centro neuropsichiatrico di San Vittore, ora chiuso – e successivamente era stato trasferito a Opera dove sembrava i farmaci e le terapie sembravano funzionare, tanto che aveva iniziato ad apprendere l’italiano e svolgere piccoli lavoretti. Ma evidentemente la strada per portarlo a una dimensione “umana” stabile è ancora molto tortuosa.

Cristina Gauri

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5 comments

Fabrizio 20 Febbraio 2019 - 11:40

Preziosa “risorsa” …..per un radioso futuro.

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Piero 20 Febbraio 2019 - 11:58

Al di là della retorica mainstream, bisogna sottolineare come i casi di follia criminale siano, in Africa, assai più diffusi che in qualsiasi altro continente.
Ciò è dovuto a svariati fattori: da un lato, senz’altro alla totale carenza di strutture diagnostiche specifiche (spesso si ritiene trattarsi di possessione diabolica, ricorrendo ad esorcismi somministrati dalle “mamam” o dagli stregoni di villaggio, i “bokor” ovviamente ben poco efficaci sul piano clinico); dall’altro, alla diffusione endemica di patologie virali a carico dell’encefalo – che spesso conducono il malato alla perdita della ragione.
Il tutto aggravato da una promiscuità tra consanguinei che, protraendosi nei secoli, ha indebolito i ceppi genetici anche sul piano intellettivo (ma non solo: alcuni sostengono che la vulnerabilità ai germi riscontrata nelle razze africane sia dovuta a mutazioni del sistema immunitario legate a mescolanze parentali).
Com’è ovvio, nei paesi di provenienza sono stati sviluppati meccanismi culturali di controllo per questo genere di devianza, pericolosissima per la collettività: non appena qualcuno dà di matto, la folla lo lincia seduta stante, spesso impiegando metodologie di esecuzione “colorite”, come lo smembramento tramite machete o la “fire necklace” con il copertone cosparso di benzina… Può sembrare crudele – e ai nostri occhi di occidentali benpensanti lo è -, ma rappresenta anche l’unico sistema per proteggere vite innocenti da esplosioni di follia altrimenti incontrollabili. Inoltre, le pubbliche esecuzioni consentono un salutare sfogo collettivo, di importanza vitale per masse anafabete e superstiziose.
Ora, supporre che nel corso di un viaggio di poche settimane possano cancellarsi tracce culturali e genetiche stratificatesi nel corso dei millenni, è ovviamente puerile. Ma attiene al modo di “pensare” caratteristico di una certa parte della popolazione italiana. Sarebbe più ovvio, nel presupposto di voler continuare ad accettare supinamente la violenta invasione di clandestini ed immigrati illegali, peraltro senza sottoporli ad alcun tipo di controllo psico-fisico, ricorrere ai metodi di contenimento e riduzione del danno già efficacemente sperimentati nei paesi di origine… In pratica, dato che gli immigrati si dimostrano recalcitranti ed incapaci di adattarsi ai nostri costumi, dovremmo noi adeguarci ai loro: l’unico rimedio valido contro Kabobo è tagliarlo a pezzi o bruciarlo vivo, meglio se nel bel mezzo di un mercato dove possa servire d’esempio.
L’ultimo rogo pubblico in Occidente credo risalga al tardo Seicento. Forse è ora di ritornare alle origini.
Coadiuvati naturalmente dagli immigrati, che per una volta tanto potrebbero davvero rivelarsi una risorsa!

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Achille 20 Febbraio 2019 - 12:16

Questa specie di gentaglia va tritata viva.

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Michele A. 20 Febbraio 2019 - 5:17

Fosse dipeso da me, tal Kabobo non ci sarebbe più!

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Commodo 22 Febbraio 2019 - 10:05

Vengono abbattuti poveri cani innocenti che hanno morso chi magari li molestava e li provocava! Perché non dovrebbe valere per bestie come sto kabobo che se la spassano ad ammazzarci sapendo pure di poterci prendere bellamente per i fondelli! E lo fanno scientemente! Accidenti a loro e a chi li vuole! (Scaricarli a noi! Beninteso!!!)

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