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Le leggi fasciste e razziste che tolgono il sonno alla Gabanelli

by Giuseppe Maneggio
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Roma, 12 set – E’ difficile che il moderato, liberale e borghese Corriere della Sera si lasci sfuggire una qualche occasione per pontificare sullo status quo socio-economico. Pur vivendo una semi permanente congiuntura di crisi non devono sorgere dubbi, crepe, indecisioni: il modello imperante e vigente deve restare il migliore dei mondi possibili e con questa lente tutto deve passare al giudizio di imperscrutabili giornalisti, opinion maker e parrucconi vari.

Milena Gabanelli rientra in questa categoria. La sua trentennale carriera giornalistica fatta di denunce e giornalismo investigativo l’hanno portata ad essere, durante la fine degli anni ’90, una delle più acclamate figure del mondo televisivo legato all’informazione, tanto da essere stata caldeggiata, lo scorso anno, dal Movimento 5 Stelle per la presidenza della Repubblica.

La Gabanelli, forte del suo format vincente, collabora da qualche tempo anche con il Corsera. La rubrica, chiamata Report Time, offre tutta una serie di mini video conditi da articoli che ricalcano per stile e forma ciò che fino a qualche tempo fa veniva trasmesso su Rai 3.

Succede così che il 10 settembre compare sulla prima pagina del sito Corriere.it un titolo fuorviante: “Ad impedire il lavoro una legge razziale fascista”. Nell’articolo si punta il dito su una legge statale, ancora vigente, che impedisce alle società private di ingegneria di appaltare e svolgere lavori per altri imprenditori privati. La legge messa in vigore nel 1939 per la Gabanelli e la sua collaboratrice Giovanna Boursier era da considerarsi “una legge razziale che aveva lo scopo di impedire agli ebrei di nascondersi dentro a queste società”.

Da qui parte la cronistoria che ci racconta di come i legislatori siano intervenuti a modificare una parte di questa norma. Nel video invece l’intervista al titolare di una società di ingegneria di Torino a cui il Tribunale ha impedito una commessa per la progettazione di un immobile. La conclusione avalla il migliore dei mondi possibili. Quale? Quello liberista ovviamente, perchè stando all’articolo, in un momento in cui il lavoro non c’è, è assurdo che lo Stato tenga in vita una legge che impedisce alle aziende private di ingegneria di poter operare liberamente.

Un qualche appunto va però fatto anche alla cara Milena Gabanelli. Le leggi razziali sono state varate nell’ottobre del 1938 e negli anni seguenti l’operato del governo fascista non era perennemente e paranoicamente rivolto a contrastare i cultori della religione ebraica. Quella legge, varata l’anno successivo, aveva un suo preciso scopo: quello di mantenere il controllo di un settore strategico come quello ingegneristico da parte dello Stato. Uno Stato che per definizione del filosofo Giovanni Gentile aveva caratteristiche  atte a realizzare la nazione che “coincide con la volontà del popolo del quale è l’educatore. Uno Stato che vive nell’uomo: che – al contrario di tutte le varie e astratte teorie nazionaliste, assolutiste, liberali, socialiste e democratiche, ecc. – non è inter homines, bensì in interiore homine. Uno Stato, cioè, che non è più (solo) una burocrazia, ma piuttosto carne e sangue della nazione” (1).

Chi riesce a comprendere la forza di queste parole capirà che non si può criticare la visione di una legge fascista con la lente della società attuale ammantata di delirio liberista, individualista e fondata sul primato dell’economico sull’uomo. La Gabanelli tira acqua al suo mulino e a quella di tanti speculatori privati pronti a spalleggiarsi fra loro opere pubbliche di dubbia utilità o scarsamente funzionali agli interessi della nazione e del popolo.  E a tal proposito è sufficiente ricordarsi del recente scandalo legato alla Brebemi, l’autostrada interamente costruita da privati, che collega Milano con Brescia (ma per questo non c’è già la A4?): cara, inutile, senza stazioni di servizio nè cartellonistica.

Ovvio che una legge come quelle del 1939, oggi non avrebbe ragion d’essere e che anzi appaia come un freno a chi si prodiga per il profitto fine a se stesso. Ma nella società fascista aveva un suo senso logico che era ben distante dall’avere connotazioni razziste. Lo Stato doveva essere un fatto spirituale e morale “poichè concreta l’organizzazione politica, giuridica, economica della nazione; e tale organizzazione è, nel suo sorgere e nel suo sviluppo, una manifestazione dello spirito” (2).

1) Riprendersi Giovanni Gentile – Valerio Benedetti – AGA Editrice 2014
2) La dottrina del fascismo – 1935

Giuseppe Maneggio

 

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