Oggetto del contendere è il tema della ricapitalizzazione preventiva, strumento concesso agli Stati dalla Brrd – la famigerata direttiva sul bail in – che permette di utilizzare fondi pubblici per puntellare i bilanci ma, in cambio, fa pagare ai privati una parte del risanamento. Si tratta dello schema sul quale esecutivo ed Ue hanno già trovato la quadra per Monte dei Paschi: banca nazionalizzata con il conto a carico dei detentori di obbligazioni subordinate. Allo stesso tempo è anche necessario che l’istituto oggetto dell’intervento sia, almeno sul medio termine, in grado di poter reggersi sulle proprie gambe: e così Mps subirà una cura da cavallo fatta di cessione di crediti e taglio dei dipendenti che potrà riguardare fino ad un terzo del personale.
Per quanto riguarda le banche venete, invece, la situazione è decisamente più grigia. La Bce ritiene che abbiano una prospettiva di recupero della redditività, opinione non del tutto condivisa dall’Ue e nemmeno dalla Germania: non più tardi dello scorso inverno, più o meno a cavallo della richiesta italiana di procedere alla ricapitalizzazione degli istituti di Vicenza e Montebelluna, il governatore della Bundesbank Jens Weidmann già metteva le mani avanti chiedendo il rispetto puntuale delle regole, in special modo per quanto riguarda la solvibilità. L’ennesima ventata di rigore berlinese a cosa può portare? Se la trattativa Italia-Ue non si sbloccherà, il rischio per Bpvi e Veneto Banca è di vedersi applicata la Brrd per intero: bail in a tutti gli effetti, con effetti catastrofici non solo per azionisti, obbligazionisti già tosati una volta e non solo per i correntisti, ma anche per gli imprenditori di una buona fetta di Veneto, Trentino e Friuli. Perché nella Brrd c’è, fra le altre, una ‘piccola’ clausola che prevede, in caso di integrale applicazione della direttiva, il ritiro immediato di tutti gli affidamenti concessi a persone fisiche ed imprese. Per quanto riguarda Popolare di Vicenza, ha spiegato al Corriere della Sera l’ad Fabrizio Viola, considerando i soli prestiti in bonis si tratta di almeno 30 miliardi di euro. Lo ripetiamo per fugare ogni dubbio: sono affidamenti sicuri, certi, garantiti, che però da un giorno all’alto vengono richiamati indietro, così d’emblée senza nemmeno preavviso. Il risultato? Insieme all’acqua sporca si getta pure il bambino, dato che per una realtà produttiva fortemente esposta nei confronti delle banche (ma non è questa la sede per discutere sul bancocentrismo del sistema industriale italiano) si tratterebbe di un drenaggio da sanguisuga capace di far andare gambe all’aria una parte non indifferenze del fulcro manifatturiero italiano. E magari togliere di torno qualche scomodo concorrente proprio alla Germania, che dopo la campagna acquisti in Grecia si prepara a far compere a prezzi di saldo pure in Italia.
Filippo Burla