Genova, 21 mar – I controlli del Ponte Morandi sarebbero stati truccati per far sembrare che il viadotto fosse in sicurezza prima del crollo che il 14 agosto a Genova scorso causò la morte di 43 persone. E’ l’accusa più grave mossa dall’inizio delle indagini. Sì, perché questi test falsati hanno tratto in inganno chi avrebbe potuto evitare la tragedia. La Procura contesta l’addebito a cinque ingegneri legati a Spea Engineering, società controllata da Autostrade per l’Italia (gruppo Atlantia, di proprietà della famiglia Benetton) e delegata a monitoraggi e manutenzioni.
Le indagini
Per il disastro sono stati finora iscritti sul registro degli indagati i nomi di 74 persone, appartenenti ad Autostrade/Spea o al ministero delle Infrastrutture, di cui 71 rispondono di omicidio colposo plurimo e stradale e attentato alla sicurezza dei trasporti. Si tratta di reati colposi che dimostrano una “sottovalutazione” del rischio per “negligenza”. Altri tre sono nel mirino solo per favoreggiamento: secondo i magistrati avrebbero sviato i rilievi dopo il crollo.
Ora veniamo al dunque. Come riporta La Stampa, a cinque dei 71 inquisiti i pm hanno attribuito negli ultimi giorni anche il “falso commesso da pubblico ufficiale“. Secondo gli investigatori, i presunti responsabili hanno cioè alterato l’esito delle ispezioni sul Ponte Morandi, o fatto risultare come avvenuti test in realtà mai condotti. E’ un’ipotesi gravissima e sulla carta potrebbe profilare la contestazione di “dolo eventuale“, una specie di omicidio volontario, se venisse fuori che i controllori avevano alterato i dossier pur sapendo che il ponte poteva crollare, come è purtroppo avvenuto.
Il procuratore: “Ipotesi gravi, la ricostruzione può slittare”
Su questo grave risvolto delle indagini interviene il procuratore capo di Genova Franco Cozzi, che spiega: “Le ipotesi accusatorie vanno formulate per essere verificate, a garanzia di chi è sospettato. È tuttavia evidente che l’inchiesta accelera e registrerà aggiornamenti significativi”.
Sul fronte della ricostruzione, poi, spiega che eventuali ritardi collegati alla garanzia di salute e sicurezza (in una delle parti da demolire sono emerse tracce di amianto, che non permettono l’utilizzo dell’esplosivo) non sono poi così gravi: “La scadenza del 15 aprile 2020 per l’inaugurazione del nuovo viadotto? Non stiamo preparando lo sbarco in Normandia, non c’è un D-day prefissato il cui rinvio può alterare in maniera irreversibile l’esito d’una guerra. Io ribadisco che proprio salute, sicurezza e indagini per ristorare i familiari delle vittime, sono una priorità. E in nome di queste priorità, nel caso, si può accettare qualche slittamento dei tempi. E’ semplice buon senso”.
Ludovica Colli
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