Roma, 6 giu – Partiamo da un presupposto, passato quasi inosservato nella cagnara che si è sollevata in questi ultimi giorni: la Cassazione non ha ordinato di liberare Riina. La Suprema Corte ha solo annullato con rinvio la decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna con la quale, a fronte della richiesta di scarcerazione del boss mafioso per motivi di salute, dava parere contrario ma – a parere dei giudici di ultima istanza – mancando di indicare le precise motivazioni. Solo per queste ragioni la Cassazione ha annullato la sentenza, da ciò non derivando comunque alcun obbligo di far uscire Totò u Curtu dalle patrie galere.
Riina per ora resta dunque dietro le sbarre, nel carcere di Parma e sempre in regime di 41bis. Qualora il tribunale di sorveglianza dovesse però decidere per la sua scarcerazione per gravi motivi di salute, ciò comporterebbe nient’altro che una semplice cosa: l’applicazione di una legge dello State alla quale Riina, in quanto ancora cittadino italiano, è soggetto. Questa piccola cosa si chiama diritto, che altrimenti diventa i famosi “diritti”, che sono poi la quasi negazione del diritto in sé, dato che tutelano una sola parte escludendo le altre.
Il diritto non ha funzione di vendetta, né di risarcimento: queste cose lasciamole a chi non ha mai visto la civiltà o a chi gode a sentire il tintinnio delle manette e confonde indagati con colpevoli e avvisi di garanzia con ammissioni di colpevolezza. La detenzione in carcere, per rimanere nel caso di Riina, è una delle modalità con cui lo Stato si difende nei confronti di un soggetto pericoloso, che viene messo nell’impossibilità di nuocere. Si potrà dire che all’inizio degli anni novanta la sfida della mafia allo Stato ha raggiunto l’apice, eravamo in guerra a tutti gli effetti. Vero, verissimo: si sarebbe potuta introdurre la legge marziale, Riina forse sarebbe stato passato per le armi e probabilmente in pochi avrebbero avuto qualcosa da obiettare.
Ma quel periodo convulso è terminato da un pezzo, l’emergenza delle stragi è rientrata e, se davvero ora Riina é solo un novantenne malato e debole, palesemente incapace di (comandare) ad un tipo di mafia che forse non esiste neanche più come quando era il capo dei capi, allora un giudice – e non il “popolo del web” o chi per lui – sarà chiamato ad esprimersi. Così vuole la legge. E non vale il discorso di ciò che pensiamo di lui o di ciò che gli faremmo: Riina – passateci il francesismo – é un infame bastardo, su questo non ci piove. Se dovesse morire domani in pochi verserebbero una lacrima, anche questo é pacifico. Ma questo ha a che fare con emozioni e sentimenti, che nonostante alcune derive degli ultimi anni non sono grazie a dio ancora diventate una fonte del diritto.
Nicola Mattei
1 commento
Il Diritto è senza dubbio quello che lei dice con la funzione che lei giustamente gli attribuisce, ma non parliamo del Diritto come se fosse la Giustizia. Legge & Giustizia sono due cose diverse, ed il Diritto attuale è legato indissolubilmente alla prima. Il Diritto di oggi risente dell’Età dei Lumi e di tutto quel susseguirsi di eventi, abbagli e trasformazioni che ci hanno portato fino a qui. La vendetta non fa parte della nostra civiltà; bene, anche volendo considerare la nostra una Civiltà e non una civilizzazione degenescente, corrotta e pavida, devo dire che anche strangolare e sciogliere un bambino innocente nell’acido per poi andarsene a dormire non è che provenga dai fasti della Res Publica romana. Non sono i diritti universali dell’uomo, non è il cristianesimo, non è il socialismo che ci differenziano da quelli che non hanno mai visto la Civiltà, perché in questo continente disgraziato la Civiltà i nostri antenati l’avevano creata anche (e soprattutto) prima di tutte queste storie.