Roma, 11 mar – Quando ho sentito questa voce era ormai troppo tardi. I corpi di Daniele Nardi e Tom Ballard erano stati avvistati da qualche ora. Un’immagine sgranata, lontana, due macchie di colore semi sommerse da un oceano di crudelissima neve. La montagna se li era presi e li teneva con se lassĂą. Eppure io stavo sentendo la voce di quell’uomo che per mesi aveva saputo catturare l’attenzione, l’affetto e le speranze di una intera Nazione, e portarla su in vetta con lui. “Un ragazzo di pianura” è questo che sento nel messaggio vocale. E’ Daniele che parla.
Questo è il contenuto di un’intervista rilasciata mesi fa a Survival&Reporter, nel pieno della preparazione dell’avventura sul Nanga Parbat. Otto messaggi vocali, Otto registrazioni fatte con il suo cellulare appoggiato chissĂ dove magari in pausa tra un allenamento e l’altro o prima di una conferenza, otto volte la voce d’un solo uomo che si racconta e decide di farlo con una domanda: Chi è Daniele Nardi?
Un ragazzo di pianura
Daniele Nardi è un ragazzo di pianura con una generazione di nonni alle spalle, che viveva sui monti Lepini a Sezze Romano. E che ha deciso di seguire le orme della generazione precedente, ma spostandosi sulle alte montagne. Ho sempre avuto una grande curiosità per le cose e i limiti umani, sul come come superarli. Ho sempre puntato su tre aspetti fondamentali: un aspetto tecnico, uno di allenamento generale e quello dell’avventura. Ero curioso di capire se riuscivo a scalare un ottomila metri, poi mi sono spostato su pareti sempre più verticali, nel tentativo di aprire una via nuova, ignota e inesplorata, e farlo in pieno inverno; un limite che l’alpinismo mondiale ha abbattuto solo parzialmente, verificare se l’uomo è in grado di fare quella cosa lì o se va oltre le possibilità del corpo umano.
Fin da piccolo il sogno dell’avventura solitaria
Quello che ritengo mio primo passo partendo dalla pianura pontina verso le alte quote è il momento in cui ho deciso, a 14 anni, di andare a dormire da solo sui monti lupini. Ci fu un rifiuto totale dei miei genitori, io volevo andare da solo e vivere quell’avventura in solitaria. Il mio primo passo fu quello, non volevo essere limitato. Il secondo passo importante è stato quando, impossibilitato di fare un corso di alpinismo e arrampicata, decisi comunque di prendere corda e imbracature e andare a scalare delle pareti sui Lepini, l’ho fatto da solo inventandomi tecniche di sicurezza.
I miei allenamenti sono cambiati negli anni, aumentando sempre di piĂą i metri di dislivello a settimana, al mese, e mettendoci piĂą scalate possibili. Nel tempo ho modificato il mio metodo: per migliorare anche dal punto di visto aerobico ho usato l’atletica leggera rivolgendomi a dei professionisti, l’apnea per migliorare le mie capacitĂ polmonari, anche scalata su roccia e poi scalate su alpi e quindi sul ghiaccio. Ultimamente ho cercato nuove vie sull’Appennino, esplorando pareti di 2-300 metri e aprendo linee nuove sul misto ghiaccio e roccia. Subentra poi l’aspetto mentale, gestire le emozioni, le paure, la possibilitĂ di poter cadere, senza protezioni. Ho lavorato molto su questo, su come eliminare i blocchi interiori. Ho inventato il mio programma che si chiama “laboratorio in parete”, in cui faccio affrontare a persone le paure dell’altezza, vincere quel tipo di sensazione.
Noi siamo esseri spirituali
Noi siamo degli esseri spirituali, non alleniamo solo mente e cervello, in un certo senso dobbiamo anche condizionarci e fare prove graduali di impegno psicofisico. Se io fossi partito per il monte Everest avrei saltato la gradualità : ho fatto prima il Velino, poi il Gran Sasso, poi il monte Bianco e poi pian piano mi sono avvicinato alle grandissime vette come l’Everest e il Nanga Parbat d’inverno. Una preparazione fisica sì, ma anche spiritualmente noi ci approcciamo in maniera graduale, possiamo misurare la nostra capacità di performance e coraggio e aumentarla poco alla volta.
Ogni piccolo fallimento ci fa ritirare dalla vita e ci impedisce di trovare il coraggio per quelle grandi sfide. Perché noi scaliamo quelle montagne? Da cosa scappiamo, da quale dolore? Il vero motivo va trovato dentro noi stessi, nella spiritualità . Gestire i propri obiettivi, la propria meta, con la consapevolezza che noi possiamo avere un coraggio infinito. Tutto sta nell’allenamento e nel poter sostenere la sfida prefissata. Mi piace organizzare i miei obiettivi, scegliere le mie montagne, le mie vie.
Mettersi alla prova
Un consiglio che darei è di mettersi alla prova subito, entrare in una palestra di arrampicata, cominciare a capire cosa vuol dire e allo stesso tempo partire per un sentiero, anche relativamente facile. Questo ci permette di capire qual è la nostra tendenza, capire se siamo pronti a godere dell’avventura e delle sensazioni di bellezza della natura. Il suggerimento più importante che do è quello dello studio e della gradualità , studiare le proprie reazioni sia alla natura che alla montagna, vedere come prepararsi per una salita, non fare cose eccessivamente difficili o lontane da quelle fatte.
Se uno riesce a vedere l’alpinismo come una propria filosofia e dargli un connotato, questi altri aspetti verranno da sĂ©. Io attraverso l’alpinismo ho conosciuto la vita stessa, ho studiato i grandi filosofi, senza non avrei avuto la capacitĂ di comprendere come questa mia esperienza della montagna potesse diventare utile per le persone e fargli superare i propri limiti. L’alpinismo è scoperta, è avventura, è controllo, è mille cose, e allo stesso tempo però per me alpinismo è lo sport della scalata delle montagne dove ho dato il meglio di me stesso a livello di preparazione. Come fare gli allenamenti, studiare l’organismo umano, studiare anche la storia degli alpinisti che sono venuti prima di me. Poter capire quale stile adottare, lo stile alpino è lo stile puro con il quale scalare le montagne e vivere appieno l’avventura e l’esplorazione su queste grandi montagne, sia fuori che dentro se stessi.
Di Alberto Palladino e Davide Di Lelio