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Tragedia funivia, freni bloccati per scelta. “Non volevano perdere soldi”

by Adolfo Spezzaferro
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Stresa, 27 mag – E’ ufficiale: i freni di sicurezza della funivia del Mottarone, la cui cabina è precipitata nel vuoto facendo 14 vittime, sono stati bloccati dai gestori per non perdere soldi. Sì, perché il sistema era difettoso, e inserendo i “forchettoni” che impediscono alle ganasce di azionare i freni i responsabili della linea Stresa-Mottarone hanno fatto sì che quando si è spezzato un cavolo della funivia la cabina precipitasse con tutti i passeggeri a bordo.

Tragedia funivia, freni bloccati “per non perdere soldi”

Pertanto nessuna fatalità o errore umano: la strage di domenica, in cui sono morte 14 persone e si è salvato solo un bimbo di 5 anni, ora in ospedale, è dovuta a una “scelta deliberata” e criminale. Fatta solo per soldi. Perché l’impianto si sarebbe dovuto fermare per una lunga riparazione. Nerini, 55 anni, titolare della società che gestisce la funivia – la Ferrovia del Mottarone -, Perocchio, 41 anni, direttore di esercizio e ingegnere della Leitner, Tadini, 63 anni capo servizio, ora in carcere, sono accusati di “rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro“. Reato che prevede fino a 10 anni di reclusione in caso di disastro e vittime per chi non mette, rimuove o danneggia sistemi di sicurezza.

Ecco perché la cabina è precipitata

I carabinieri della compagnia di Verbania dopo 48 ore dall’incidente hanno fornito al procuratore Olimpia Bossi e al sostituto procuratore Laura Carrera tutti gli elementi che spiegavano che i freni di emergenza non erano scattati perché erano stati disattivati con i “forchettoni”. Pertanto quando domenica mattina intorno alle 12 la fune di trazione si è spezzata all’arrivo nella stazione di monte, la cabina, libera dall’unico vincolo, è tornata all’indietro per 300 metri a una velocità pazzesca, si è sganciata dalla fune portante e si schiantata al suolo.

“Forchettoni” inseriti deliberatamente e ripetutamente per un mese

Tadini ha ammesso “di aver deliberatamente e ripetutamente inserito i dispositivi blocca freni (i “forchettoni”, ndr) durante il normale servizio di trasporto dei passeggeri“, si legge nel decreto di fermo. Questo perché una serie di anomalie facevano scattare i freni d’emergenza e le riparazioni, l’ultima il 3 maggio, non erano servite a niente. “Per evitare continui disservizi e blocchi della funivia, c’era bisogno di un intervento radicale con un lungo fermo che avrebbe avuto gravi conseguenze economiche. Convinti che la fune di traino non si sarebbe mai rotta, si è poi voluto correre il rischio che ha portato alla morte di 14 persone. Questo è lo sviluppo grave e inquietante delle indagini”, spiega la Bossi.

Inoltre Tadini ha dichiarato che Nerini e Perocchio, che erano stati “ripetutamente informati” della situazione, “avallavano tale scelta e non si attivavano per consentire i necessari interventi di manutenzione”, riporta il decreto di fermo, già dalla riapertura del 26 aprile. Per quasi un mese, quindi, la cabina è stata continuamente una potenziale tomba per chi ci ha viaggiato. Resta da capire perché la fune traente si sia spezzata, e a questo stanno lavorando i tecnici che forniranno le consulenze ai pm. E non è detto che ci saranno altri indagati.

“Fatti di straordinaria gravità, irrogazione di una elevatissima sanzione detentiva”

Nel complesso, dunque, per gli inquirenti, siamo di fronte a fatti la cui “straordinaria gravità” è dimostrata dalla “deliberata volontà di eludere gli indispensabili sistemi di sicurezza dell’impianto di trasporto per ragioni di carattere economico e in assoluto spregio delle più basilari regole di sicurezza, finalizzate alla tutela dell’incolumità e della vita dei soggetti trasportati”. Insomma, la funivia senza freni è diventata una tomba per non perdere soldi. Quello che è accaduto, scrivono ancora i pm, a causa della “sconsiderata condotta” dei tre indagati comporta, in caso di una condanna in un processo, “l’irrogazione di una elevatissima sanzione detentiva“. Ecco perché la procura ha chiesto il carcere per scongiurare il pericolo di fuga.

Adolfo Spezzaferro

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