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Informatica, ecco come l’Italia peggiora anche nell’Open Source

by La Redazione
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Roma, 4 ago – Chiarito in un precedente articolo cosa sia l’Open Source in linea teorica generale, risulta interessante valutarne gli aspetti positivi dell’impiego nella Pubblica Amministrazione pur non tralasciando anche i lati negativi. Senza ombra di dubbio, dal punto di vista tecnico, la scelta di utilizzare software Open ha solo aspetti positivi, soprattutto riguardo alla sicurezza/affidabilità ed alla interoperabilità fra i vari sistemi, ma dove la partita è aperta è nella sfera economica, organizzativa e strategica che rappresenta, in parole povere, la locuzione “scelte politiche”.

Vediamone brevemente i punti salienti:

  • Aspetti negativi
    • il software Open Source sovente non è un programma pronto all’uso, richiede un’opera di elaborazione iniziale per la personalizzazione e quindi il costo iniziale di implementazione, in linea teorica, può essere superiore all’acquisto di una soluzione closed;
    • la migrazione da un sistema ad un altro non è mai economicamente indolore, nel migliore dei casi esiste comunque un costo dovuto alle ore di formazione per imparare l’utilizzo delle novità;
    • se lo sviluppo non è organizzato ed i vari Enti (Comuni, Regioni, Agenzie, Dipartimenti, etc.) non condividono fra loro in modo ordinato rischia di diventare un gran bailamme dove si inficiano i vantaggi tecnici dell’interoperabilità;
  • Aspetti positivi
    • uno sviluppo organizzato e coordinato permette un’uniformità fra i vari apparati statali con riduzione dei costi per lo sviluppo, per il mantenimento / utilizzo e per l’efficienza nello scambio di dati;
    • lo sviluppo nell’Open Source può essere svolto da risorse nazionali con evidenti ricadute e benefici dal punto di vista economico ed occupazionale.

In questa sfida come si sta muovendo l’Italia anche in raffronto agli altri Stati? Come Penelope con la sua tela. Nel 2005 è stato emanato il Codice dell’Amministrazione Digitale, integrato poi tra il 2008 ed il 2010 con l’inserimento degli aspetti legati all’Open Source, e questo ci pone ancora oggi all’avanguardia rispetto alla stragrande maggioranza degli Stati nel mondo (dato storico: siamo stati il primo Paese in assoluto a normare la materia in forma organica), ma le successive modifiche intervenute fra il 2014 ed il 2016 hanno acuito il suo problema fondamentale (dovuto semplicemente al fatto di essere il primo esempio) ovvero il contenere numerose enunciazioni di principio, spesso piuttosto solenni, senza accompagnarle però con disposizioni operative che ne consentano la concreta attuazione. Le citate modifiche, in sintesi, l’hanno reso più nebuloso dando molto più potere alla discrezionalità dei singoli rappresentanti le istituzioni.

In questa analisi giova, infine, menzionare due esempi stranieri: la Bulgaria e la Federazione Russa. Nel caso della Bulgaria è da notare come si sia dotata di una normativa in materia, per rientrare come noi nel ristrettissimo club degli Stati aventi un impianto legislativo unificato, molto tardi (la legge è stata promulgata nel 2016) ma che lo strumento entrato in vigore sia un modello di sintesi ed efficacia: pochi articoli piuttosto brevi, disciplina non solo dell’Open Source ma anche degli Open Format ed Open Data, obbligo di utilizzo del software Open Source per qualsiasi Ente statale, obbligo di conferire il codice sviluppato in un deposito (tecnicamente detto repository) unico centralizzato statale pubblicamente consultabile.

La Russia invece, sempre nel 2016, non si è preoccupata di effettuare una scelta di campo fra Open o Closed Source, ma ha preferito emanare una chiara direttiva operativa che obbliga tutti gli Enti pubblici a sostituire il parco software di produzione straniera con altro di produzione russa; il processo è completamente gestito dall’operatore statale Rostelecom, è già stata emanata la lista dei 2.000 prodotti made in Russia da utilizzare e così i 295 milioni di dollari che ogni anno spende la Federazione per le licenze saranno completamente deviati alla crescita del PIL nazionale.

Cristiano Bergoglio

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1 commento

R 5 Settembre 2017 - 12:17

Il grande vantaggio dell’open source è la (quasi, dipende dai casi) totale indipendenza da qualsiasi Stato o grande azienda ponendo quindi come principale obiettivo la qualità del software e non il profitto economico.

L’utente (o la PA) ha, fra l’altro, fra le mani un programma di cui conosce tutto, non vi sono dubbi di codice nascosto al fine di spiare/avvantaggiare l’azienda produttrice (o lo Stato dove essa si trova).

Prima lo si capirà, meglio sarà per tutti i cittadini.

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