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Perché un vulcano in Islanda potrebbe cambiare l’Europa

by Paolo Mauri
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islandaRoma, 26 ago – L’Islanda è un’isola a ridosso del Circolo Polare Artico costellata di vulcani; questo perché l’intera isola nasce a cavallo di una grossa struttura geologica che si chiama Dorsale Medio Atlantica: una frattura della crosta terrestre che divide la placca Nord-Americana da quella Eurasiatica lungo la quale si ha una lenta e costante emissione di magma dall’interno della Terra. Questa emissione di magma, nel corso dei milioni di anni, ha provocato la separazione tra i due continenti, e in Islanda in particolare, l’intensa attività eruttiva è provocata anche da un altro particolare fenomeno geologico chiamato “punto caldo”, cioè un enorme pennacchio di magma che risale nel mantello terrestre e causa intensa attività vulcanica (ad es. come nelle Hawaii).

Nel corso del passato recente è capitato spesso che si risvegliassero i vulcani di quest’isola, che, ricordo, è anche sede del ghiacciaio più esteso d’Europa, il Vatnajökull, che ricopre la superficie dell’isola per il 10%, facendone un altro fattore di rischio in caso di eruzione. Ma come può l’eruzione di un vulcano su di un’isola così lontana influire e cambiare le abitudini e addirittura le sorti di una nazione lontana migliaia di kilometri? Nel marzo del 2010 un vulcano, l’Eyjafjöll al di sotto di uno dei tanti ghiacciai islandesi dal nome impronunciabile per noi latini, l’Eyjafjallajökull, entrò in attività dopo quasi due secoli di quiescenza.

Le sue ceneri, proiettate dalla violenza delle esplosioni ingigantite dal contatto tra magma e ghiaccio, finirono nella stratosfera e ivi rimasero per settimane, trasportate dai venti per quasi tutta l’Europa. La diretta conseguenza, questa volta, per noi italiani fu la paralisi del traffico aereo, in quanto le ceneri vulcaniche (composte da silicio), se ingerite dai motori degli aerei possono portare allo spegnimento di questi (in gergo quel che si dice “piantata del motore”) non tanto per mancanza di ossigeno quanto perché le ceneri, con le alte temperature raggiunte dalla turbine aeronautiche, si fondono e accumulandosi bloccano le palette del compressore del motore causandone lo spegnimento. La possibile eruzione di un altro vulcano, il Bárðarbunga, al di sotto del sopracitato ghiacciaio Vatnajökull, potrebbe, a seconda dell’intensità, avere gli stessi effetti e portare ad una nuova paralisi del traffico aereo, a cominciare dai paesi del nord Europa e, a seconda del capriccio dei venti, estendersi a quelli del sud.

Ma non è tutto. Lo scenario peggiore possibile in caso di eruzione di un vulcano islandese (come potrebbe essere l’Hekla), è quello del ripetersi di una eruzione come quella avvenuta nel 1783 da una enorme fessura, chiamata Lakagir, del vulcano Laki. Durante quell’eruzione, a basso indice di esplosività a dire il vero, morirono i 3/4 degli animali dell’Islanda a causa dell’avvelenamento da gas ricchi di fluoro e allo strato di cenere deposto sui pascoli. Questi effetti furono anche correlati a un deterioramento del clima su scala europea e globale causato dalla cortina di gas che fuoriuscirono durante l’eruzione: circa 10 mila persone morirono per la carestia che ne derivò, quasi 1/5 della popolazione dell’Islanda. Intanto lungo tutta l’Europa ci furono terribili inondazioni dovute a incessanti piogge, le peggiori nei passati 1000 anni, la temperatura invernale crollò di quasi 7 gradi durante l’inverno del 1784 e ritornò su valori normali solo 6 anni dopo, carestie si sparsero a macchia di leopardo lungo il continente, vi furono anni di raccolti scarsi e c’è addirittura chi pensa che fu indirettamente una delle cause scatenanti della Rivoluzione Francese. Oggi sappiamo che non è tanto la cenere emessa da un vulcano a modificare le temperature su scala globale, quanto la quantità di anidride solforosa (SO2 ) emessa, che si diffonde come un aerosol nella stratosfera tutto intorno al pianeta e riflette e assorbe la radiazione solare, causando una diminuzione media delle temperature globali ma che, su scala locale, può anche portare all’aumento di queste (vedere temperature dicembre 1991 – febbraio 1992 post eruzione Pinatubo, Filippine).

Non sempre un’eruzione di tipo esplosivo porta ad una elevata immissione in atmosfera di questo gas: l’Etna, caratterizzato da sue placide eruzioni effusive, è responsabile per l’8/9% delle immissioni su scala globale di anidride solforosa, il vulcano El Chichon in Messico quando eruttò in modo esplosivo nel 1982, emise centinaia di volte più anidride solforosa dell’eruzione del Monte St. Helens nonostante quest’ultima fosse molto più catastrofica di quella del vulcano messicano. Tutto dipende dall’arricchimento o meno di un magma della fase fluida contenente zolfo. Questo possibile scenario eruttivo con le sue conseguenze climatiche, attualizzato all’Europa moderna dove l’agricoltura, nonostante sia molto meno fragile e sviluppata meno intensamente e più efficacemente rispetto al XVIII secolo, resta sempre uno dei pilastri dell’economia soprattutto per i paesi più “mediterranei”, risulterebbe comunque devastante per quei paesi, come l’Italia, a vocazione più agroalimentare e con elevato rischio idrogeologico annesso, potrebbe addirittura mettere allo stremo il già fragile sistema economico europeo flagellato dalla crisi finanziaria causando movimenti di popolazioni verso paesi extraeuropei più “felici” come non accadeva dalla fine del 1800.

Paolo Mauri

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[…] delle dorsali medio oceaniche nei cambiamenti a lungo termine del clima. Le dorsali oceaniche, come già detto in un articolo precedente, sono delle fratture della crosta terrestre che la dividono in placche, o zolle, in moto relativo […]

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Eruzione vulcano Tambora e sconfitta di Napoleone a Waterloo | IL PRIMATO NAZIONALE 10 Aprile 2015 - 12:01

[…] (Volcanic Explosivity Index) e facendola diventare la più violenta degli ultimi 10mila anni. Gli aerosol prodotti dall’eruzione e sparati nell’alta atmosfera si sparsero in tutto l’emisfero nord del […]

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