
Coordinatore dello studio è stato il professor Adriano Chiò, responsabile del Centro Sla del Dipartimento di Neuroscienze «Rita Levi Montalcini » della Città della Salute di Torino, in collaborazione con la dottoressa Gabriella Restagno, del laboratorio di Genetica Molecolare della stessa azienda ospedaliera torinese, con il dottor Mario Sabatelli (dell’Istituto di Neurologia e del Centro Sla dell’Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma, e con il dottor Bryan Traynor, neurologo dell’Nih di Bethesda.
Non è in realtà il primo gene individuato, né quello mutato in tutti i pazienti. «Ma è senza dubbio il più importante perché interagisce con un altro gene che codifica una proteina che si accumula invece in tutti i casi di malattia», sottolineano gli studiosi. Secondo il professor Chiò, «la scoperta del nuovo gene coinvolto nell’origine della Sla non porterà purtroppo a terapie immediate, ma i risultati delle nostre ricerche passeranno ora nei laboratori di biologia dove si creano modelli cellulari, e, in vitro, si osserveranno i comportamenti. Quando si trova una mutazione nel Dna è possibile che si tratti di una variante benigna che non scatena alcuna malattia. Lavorare sui casi con “familiarità” ci ha permesso di avere la certezza che fosse invece una alterazione patologica».
Sempre secondo Chiò, «la ricerca fornisce informazioni fondamentali per l’identificazione dei meccanismi della degenerazione dei neuroni di moto, il cui danneggiamento non solo rende progressivamente difficoltosi i movimenti, ma riduce la massa e la potenza muscolare».
La ricerca ha potuto ottenere questi risultati grazie al finanziamento (per la parte italiana) da AriSla–Fondazione Italiana di ricerca per la Sla, dalla Fondazione Vialli e Mauro, dalla Figc, dal Ministero della Salute e dalla Comunità Europea. Dimostrazione che quando si mettono i mezzi i nostri cervelli in patria danno il meglio e anche qualcosa di più.
Gaetano Saraniti