Roma, 12 nov – Non si fermano le manifestazioni ad Albano Laziale dopo le tristi polemiche seguite al passaggio della salma dell’ufficiale Priebke. Dopo i calci e gli sputi al carro funebre, lo scorso 9 novembre l’Anpi e gli antifascisti dei Castelli Romani si sono contraddistinti per un’altra azione contro dei morti, questa volta del tutto innocenti e non accusati di nessun eccidio, indossando magliette con la scritta “I love Foiba”. Al corteo sono state invitate anche autorità istituzionali locali tra cui il sindaco di Albano Laziale. Nonostante la presenza istituzionale però, la manifestazione democratica ha preso una brutta piega. Fissato il giorno della ricorrenza della caduta del muro di Berlino, il corteo ha provocato non pochi disagi alla città che ha visto sfilare un enorme numero di blindati per soli trecento manifestanti accorsi da tutta la provincia tra collettivi, centri sociali, Anpi ed esponenti di Sel tra cui il deputato Zaratti. Qualche momento di tensione sfiorato quando alcuni manifestanti volevano deviare il corteo verso la sede dei padri lefevbriani, colpevoli di aver ospitato il corpo dell’ex ufficiale, ai quali è stata dichiarata una vera e propria guerra da parte degli organizzatori, le cui dichiarazioni hanno voluto lanciare un messaggio preciso: “Non sono ospiti graditi qui, sappiano che non avranno pace”.
Un quadro non troppo diverso da quello che siamo abituati a vedere in ogni corteo di questo tipo ma con la triste nota in più delle maglie inneggianti alle foibe, le tristemente note fosse in cui venivano gettati i corpi vittime degli eccidi in terra Giuliano Dalmata. Una caduta di stile, una mancanza di rispetto, un atto gravissimo non fosse altro che l’intenzione della manifestazione era proprio quello di manifestare, insieme alle istituzioni, per ribadire l’importanza dei valori democratici fondati sull’antifascismo, per ricordare quanto fosse stata sbagliata la tragedia delle fosse Ardeatine e di quanto sia oggi giusto non permettere la sepoltura dell’ufficiale che ha eseguito l’ordine di eseguire la rappresaglia. Predicare tutto questo con simboli e slogan inneggianti ad un altro massacro etnico, osannato se non talvolta negato, ai danni dei propri connazionali. Una mancanza di coerenza oltre che di decenza e di rispetto, resa ancora più grave considerata la presenza di autorità istituzionali quali deputati e sindaci che hanno sfilato senza problemi a questa manifestazione che non ha avuto rispetto per i morti che, evidentemente, non sono tutti uguali: c’è qualcuno che è degno di essere ricordato. Altri, nel nome dell’antifascismo e della libertà, no. L’augurio è che così come il 9 novembre 1989 ha segnato la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 2013 ponga fine a questo teatrino delle miserie umane.
Alessandro Bizzarri