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Bischerate e banalità: il monologo di Benigni ha stufato tutti

by Stelio Fergola
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Benigni monologo inutile e scontato

Roma, 8 feb – Roberto Benigni e il suo monologo standard, scontato, triste e banale. Per cui alcuni incredibilmente continuano a stravedere, ma che una bella fetta di telespettatori cominciano a recepire per quello che è: una noia mortale, piena zeppa di frasi vuote e retoriche. Questa è la prima percezione dopo l’intervento dell’attore ieri a Sanremo.

Il noiosissimo monologo di Benigni

Sanremo si può seguire o meno, ma purtroppo le notizie e i relativi video corrono sul web il giorno dopo. Soprattutto quelli ammorbanti. Un ottimo sonnifero, quello sì. Il monologo di Benigni al festival potrebbe essere utilissimo, in caso si soffra di insonnia. Magari con un volume del televisore piuttosto basso per conciliare al meglio il crollo tra le lenzuola. L’attore e regista toscano ha ormai saturato così tanto i suoi argomenti, spaziati dalle discusse declamazioni di Dante (almeno, così lo erano da alcuni suoi critici eccellenti, quali Franco Zeffirelli), all’Unità d’Italia, alla Costituzione “più bella del mondo”, fino ad arrivare al Cantico di San Francesco e perfino alla Bibbia con i dieci comandamenti: curioso, per chi proviene da una cultura tutt’altro che di “attivismo cattolico”, per usare un eufemismo, aver sfruttato simbologie cristiane in questo modo. Che gli argomenti siano finiti, d’altronde, lo dimostra il fatto che l’attore ieri sera sia tornato per l’ennesima volta sul tema della carta del 1948, stavolta (o anche in passato?) paragonata a una “opera d’arte”. A meno di non essere completamente privi di senso della varietà, però, non ci si può non rendere conto della ripetitività della questione: il gioco dell’oca è ripartito da capo. Insomma, anche basta, “dottor” Benigni.

Parole vuote e zero sostanza

La sostanza è zero perché è tutto, nel caso di Benigni. Un autore che ha praticamente pescato da ogni ambito, pur di proseguire nelle sue declamazioni francamente inconsistenti. Dal marxismo ateo alla cultura simi-cristiana o sedicente tale, in un guazzabuglio di retorica che raramente produce un reale e profondo profilo culturale (a meno che non si faccia parte di una platea di ignoranti che si illudono di essere colti, ma questo è un altro discorso). Sintomatico che questo “processo inflattivo” di parole vuote sia cominciato proprio dal discorso sul centocinquantenario dell’Unità d’Italia, avvenuto ormai dodici anni fa. In quell’occasione Benigni si mostrò in quel classico modo in cui la sinistra anti-italiana si palesa da sempre, quando non può fare a meno di far finta di celebrare ricorrenze troppo importanti ed inevitabili perfino per sé stessa, riguardanti l’argomento tabu per eccellenza come la Patria. Si può evitare o ridimensionare ogni anno il 4 novembre e la Vittoria del 1918, si può continuare a celebrare il 25 aprile, ma 150 anni di Italia furono davvero impossibili da dribblare. Il risultato fu una forzatura bella e buona di un pensiero che, filo-italiano, nel profondo non è e non sarà mai. Il peggio è che da allora è iniziata una sorta di serie televisiva di monologhi soporiferi, che dura ancora oggi. Una serie di cui speriamo di vedere al più presto una definitiva puntata finale.

Stelio Fergola

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2 comments

fabio crociato 8 Febbraio 2023 - 2:54

Benigni chi ?! Il blasfemo irrispettoso del credo di buona parte del popolo italiano negli anni 70/80 ? Ancora si parla di questo essere-non-essere ? La nullità fatta persona che ha un solo pregio… evidenzia l’ etica e la morale di chi gli si approssima.

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Paolo Borasi 10 Febbraio 2023 - 8:44

Basta, non se ne può veramente più.

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