Roma, 11 lug – Dicono che quella tra il bene e il male sia una lotta destinata a durare in eterno. Nell’universo calcistico ciò che più si avvicina a un conflitto infinitamente esteso nel tempo, senza principio né fine, è sicuramente il confronto pedatorio tra Italia e Germania. Se le rispettive nazionali nel tempo hanno scavato un solco rispetto alle altre europee (14 finali mondiali disputate – come tutte le restanti del vecchio continente messe insieme – di cui 8 vinte) negli scontri diretti diventiamo invece il più grande incubo dei tedeschi. dal 1962 ad oggi i teutonici, tra mondiali ed europei, ci hanno battuto solamente nel 2016 e per di più ai calci di rigore. Delle 15 vittorie azzurre – su 34 incontri – restano epiche “la partita del secolo” (4-3 nel 1970), la finale dei mondiali 1982 e lo smacco del 2006, con le lacrime dei 65mila del Westfalenstadion.
Analizzando invece i confronti delle sole squadre di club, il bilancio tra italiane e teutoniche grossomodo si equivale. Recentemente più Germania che Italia: ultimo, in ordine temporale, l’impari Bayern Monaco – Lazio. Qualche anno fa la Champions alzata dall’Inter in faccia ai bavaresi. Ancora più indietro nel tempo, la Coppa Uefa della Juve ai danni del Borussia Dortmund.
Non solo la nazionale: il trionfo del Napoli in coppa Uefa
Colore, quello della nostra casacca nazionale, calcisticamente indigesto alle compagini germaniche. C’è infatti anche un’altra italiana di azzurro vestita che nel suo unico trionfo oltre confine – prima squadra del sud a riuscire in tale impresa – si toglie lo sfizio di eliminare ben tre rappresentanti della Germania, allora divisa dalla cortina di ferro in due repubbliche. Un mondo diverso dal nostro che però inizia già a smarrirsi nella grande illusione dell’abdicazione statale e dell’incontrollata circolazione di capitali, beni, persone. Il muro di Berlino ancora in piedi – sarebbe caduto di lì a pochi mesi – così come la scricchiolante Unione Sovietica. Si sgretolerà insieme alla distopia comunista solo alla fine del 1991.
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Con due scudetti, una coppa Italia, una supercoppa e l’affermazione in coppa Uefa 88/89, il Napoli risulta tra i protagonisti assoluti del periodo a cavallo tra gli 80 e 90. Sugli italici rettangoli di gioco si va a chiudere un decennio in cui ben 7 squadre si appuntano lo scudetto sul petto. L’olimpo pedatorio prende casa in Italia, per rendersene conto basta scorrere la classifica cannonieri dell’annata in questione: Serena (22), Careca (19), Van Basten (19), Baggio (15) per citare i primi quattro. Poi un certo Maradona, che chiude a “soli” 9 gol.
Tre tedesche e un infuocato derby
Per i partenopei, che in campionato chiudono secondi e nella coppa nazionale cedono in finale alla Samp, l’inizio del cammino europeo è positivo. Anche se non travolgente. Nella gara d’esordio (trentaduesimi di finale) contro il Paok Salonicco basta infatti un rigore del Pibe de Oro, al ritorno non si va oltre all’1-1. La prima tedesca viene eliminata al turno successivo: il Lokomotive Lipsia – Gemania dell’Est – impatta in casa ma al San Paolo viene sconfitta “all’inglese”. Anche contro il Bordeaux basta il minimo sindacale, con gli azzurri corsari in terra transalpina (0-1 Carnevale dopo 5′) e, nella replica a campi invertiti, lo 0-0 che apre le porte al primaverile derby italiano che mette di fronte due acerrime nemiche.
Sul prato del Comunale, alla Juventus allenata da Dino Zoff basta un tempo (2-0) per ipotecare la semifinale. In casa gli uomini di Ottavio Bianchi rischiano subito il tracollo – gol non convalidato a Laudrup in avvio – ma annullano il doppio svantaggio prima del duplice fischio grazie alla massima punizione del numero 10 e all’opportunismo di Carnevale. La sfida si prolunga ai supplementari con la capocciata di Renica che a 60” dal termine fa esplodere la Curva B. Altro giro, altra tedesca: nulla può il Bayern che cade sotto i colpi dell’attacco azzurro. 2-0 e 2-2 nella gara divenuta famosa per il balletto del capitano napoletano.
Il 3 maggio lo stadio della città nuova è gremito in ogni ordine di posto, ma al quarto d’ora il centravanti dello Stoccarda Gaudino (padre casertano, madre napoletana) con la grave complicità del portiere Giuliani ammutolisce tutti. Ci pensano i soliti Maradona e Careca a portare gli azzurri sul 2-1 e rimandare ogni discorso alla finale di ritorno. In un Neckarstadion a tinte azzurrissime la rimonta biancorossa rimane un sogno chiuso nel cassetto. Alemão prima dell’1-1 di Klinsmann, poi Ciro Ferrara e Careca mettono in ghiaccio partita e spumante. Il 3-3 non cambia la sostanza: sotto al Vesuvio può iniziare la festa, è il sole della coppa Uefa del Napoli a illuminare il vecchio continente.
Un calcio diverso da quello odierno. Ancora tante squadre avevano l’ambizione di salire il più in alto possibile e continuare a superarsi in una virtuosa lotta ai vertici. Non solo Juve, Inter e Milan: anche Verona, Sampdoria, Roma e Napoli. Soprattutto per questo motivo l’Europa parlava italiano.
Marco Battistini