Roma, 4 feb – Luigi Pirandello scrisse che in Sicilia “l’uomo nasce isola nell’isola e rimane tale fino alla morte, anche vivendo lontano dall’aspra terra natìa circondata dal mare immenso e geloso”. Più in generale chi passa l’infanzia vicino alla silenziosa forza delle acque salmastre – la casa natale dell’intellettuale girgentino è in campagna, a strapiombo sul mare – non si allontana mai davvero (almeno metaforicamente) da questo tanto placido quanto impetuoso compagno di giochi. Isola tra le isole, in quel distaccamento di Trinacria che volge alla penisola, a Lipari trova riparo il Dio Eolo, re dei venti. Nel fertile lembo di terra vulcanica, energetico ma instabile come una corrente d’aria muove i primi passi – non solo calcistici – Franco Scoglio, il Professore della pedata italica.
“Niente poesia. Io verticalizzo”
Ancora imberbe, mentre gli amici di sempre marcano stretto le bagnanti in vacanza, il futuro profeta della Genova rossoblù abbozza rudimentali “studi” sull’occupazione scientifica del rettangolo verde. Prima il dovere poi il piacere, finiti gli approfondimenti trova il tempo anche per il gentil sesso: proprio una turista tedesca – conosciuta a 17 anni – diventerà infatti sua moglie.
Franco Scoglio, il rombo e la zona sporca
Precursore del centrocampo a rombo, dei suoi vertici e della pressione costante: concetti ora quotidiani per chi mastica pane e pallone. Sporca la zona contaminandola con qualche marcatura a uomo, prepara in maniera maniacale i calci da fermo, in quanto “ci sono 21 modi di battere un calcio d’angolo e 12 le punizioni”. Suddivide la rosa – cortissima, per non farsi venire il mal di testa – in base agli attributi: i tripallici fanno pressing, quelli che ne hanno due giocano al calcio. Per tutti gli altri rimane la partita tra scapoli e ammogliati.
Laureato in pedagogia, insegnante – di educazione fisica – lo è davvero. Personalità difficilmente etichettabile, tenta la via della perfezione matematica in un mondo, quello della sfera di cuoio, figlio dell’errore. “Il mio calcio è fatto così: 47% di tecnica, 30% di condizione fisica, 23% di psicologia”, vale a dire una sfida a madre natura, dove la mano dell’allenatore – nelle gambe e nella testa dei calciatori – soverchia tutto il resto.
Concreto come la terraferma, burrascoso come il mare
Il mare, dicevamo, unico comune denominatore di gran parte delle sue esperienze: Gioia Tauro, Messina (dove tra i bastardi lancia un certo Totò Schillaci), Acireale, Spezia, Reggio Calabria, Crotone, Agrigento, Pescara, Ancona, Napoli e appunto Genova. Con il grifone – e la sua gente – è un amore corrisposto, di quelli che non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano: tra il 1988 e il 2002 la Superba lo accoglierà tre volte.
Intenso come una malvasia liparese nel suo calcio “l’avversario non decide. Sono io che decido come deve giocare”. E da buon italiano di mare a un certo punto decide pure di esportare questo particolare modo di intendere il pallone. Lo fa prima in Tunisia, portando la locale selezione ai mondiali del 2002 (palcoscenico a cui rinuncerà per andare a salvare proprio il Genoa), poi nella quarta sponda d’Italia, allenando per un breve periodo la nazionale libica.
“Il Genoa è della sua gente”
Oltre alle “entrate verbali”, i timbri sui derby della Lanterna, come quello del 2 aprile 2001, quando Mutarelli e Stroppa sanciscono un dominio lungo 90 minuti. L’abbraccio platonico – dopo la rete del 2-0 – con i tifosi (“conosco uno a uno i cinquemila volti della Nord”) chiude la “sua” penultima stracittadina. Conquisterà anche la successiva, nel novembre dello stesso anno. Dopo l’uno a zero firmato Francioso, da guida del Genoa, non coglierà più la vittoria: prima di Natale è il Cagliari – guarda caso, un’isolana – a far saltare la panchina.
Dismessi i panni dell’allenatore, torna a insegnare. Inoltre viene sovente invitato – da Mediaset fino ad Al-Jazeera – come pungente opinionista tv. Se ne va, con matematica precisione, proprio in uno studio televisivo: “Morirò parlando del Genoa”, confida a un amico qualche giorno prima dell’improvvisa morte. Anticonformista ma professionale, metodico ma vulcanico. Franco Scoglio, così è stato (se vi pare).
Marco Battistini
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