Roma, 10 apr – “Culo”. Una questione di fortuna. Così José Mourinho ha commentato la scelta dei cambi decisiva per permettere la vittoria di 2-0 del Chelsea sul PSG e il relativo passaggio del turno.
L’allenatore che più ha fatto discutere cronisti e addetti ai lavori negli ultimi dieci anni sorprende un’altra volta. Un passaggio del turno importante, la quinta semifinale negli ultimi 5 anni, e Mourinho decide di non prendersi meriti e di lasciare spiazzati tutti quelli abituati ai commenti da guascone del portoghese.
È stata quindi, davvero, una questione di culo? “Nessun vincitore crede al caso“ diceva Friedrich Nietzsche ne La gaia scienza. Nonostante le dichiarazioni di facciata, siamo convinti che anche lo Special One non dia molto credito al fattore “c…aso”.
Come si spiega, altrimenti, quella corsa sul 2-0? Perché andare a dare indicazioni tattiche alla squadra invece che limitarsi a gioire dopo settimane di forti polemiche?
Come si fa a parlare di caso con un uomo che “ha studiato l’italiano cinque ore al giorno e per molti mesi al fine di poter comunicare alla perfezione” con giornalisti, squadra e tifosi interisti in previsione dell’approdo in Italia?
No, caro José Mourinho, noi non crediamo al caso.
Quella risposta, un po’ banale, un po’ leggera, l’hai sicuramente studiata prima della conferenza stampa. Probabilmente ti è servita per stemperare i toni, per togliere pressione alla squadra, per mandare un messaggio inconscio alle altre semifinaliste.
Probabilmente, José, vuoi far credere che quest’anno non credi alla conquista della tua terza Champions. Vuoi far credere agli altri, appunto…
Sicuramente, la risposta “culo” è stata una scelta di comunicazione strategica. Del resto, in questo campo, Mourinho ha dimostrato di non essere secondo a nessuno. O, probabilmente, di essere il migliore di tutti.
Da questo punto di vista, anche quest’anno sta riuscendo a far convogliare sulla sua persona e sulla sua squadra le antipatie di tutti i suoi avversari. Scelta strategica, appunto. Scelta motivata dalla volontà di rafforzare e consolidare il suo gruppo attraverso un messaggio del tipo amico/nemico, dove i nemici sono gli avversari, e dove gli amici sono incentivati a dare il massimo per prevalere su un clima ostile.
I risultati, nonostante le critiche, sono evidenti, come ha dichiarato lui stesso in un’intervista dopo la vittoria sul PSG: “I miei giocatori l’anno scorso giocavano in Europa League contro il Rubin Kazan ed erano a 25 punti dal Manchester United”. Oggi sono in semifinale di Champions e si giocheranno il campionato fino all’ultima giornata.
Anche questo un messaggio strategico dal punto di vista psicologico: stiamo facendo molto bene, stiamo andando alla grande, ma non creiamoci ossessioni, qualsiasi cosa che riusciremo a ottenere sarà una conquista eccezionale, perché veniamo da un’annata di bassissimo livello.
Se la bravura nel gestire gli aspetti psicologici gli viene riconosciuta da tutti, molti critici lo accusano di non essere capace di costruire una squadra dal gioco fluido, veloce e spettacolare. Da questo punto di vista, è certamente vero che nessuna sua squadra sia mai riuscita a raggiungere la spettacolarità del Barcellona di Guardiola. Ma è sicuramente altrettanto vero che, nel modo di intendere il calcio dei due allenatori, ci sono molte meno differenze rispetto a quelle che, soprattutto Mourinho stesso, vuole far apparire.
Anche in questo caso, quindi, l’identificazione dello stile blaugrana come acerrimo antagonista risponde al tipo di comunicazione amico/nemico.
D’altronde è stato lo stesso portoghese a chiarirlo, riferendosi alla sua esperienza di allenatore in seconda al Barcellona: “Sono stato influenzato più dalla filosofia del Barça che da qualsiasi altro allenatore. Sono stati quattro anni della mia vita assolutamente fondamentali”.
È quindi chiaro che anche gli attacchi al Barcellona rappresentano una strategia comunicativa. Strategia, appunto. Perché no, quando si parla di Mourinho da Setubal non sarà mai una questione di culo.
Renato Montagnolo
1 commento
[…] L’allenatore leccese non ha, ovviamente, solo estimatori. Come tanti vincenti si è attratto molte antipatie. Forse proprio per questo, non poteva non essere ben visto da chi con le antipatie altrui è riuscito a costruire grandi successi, José Mourinho: «Dite che i tifosi lo chiamano il Mourinho italiano? La cosa mi onora, Antonio mi piace un sacco come allenatore. È un vincente, sa quello che vuole, ha carisma». Anche l’allenatore portoghese, il top per quanto concerne strategie comunicative e motivaziona…. […]