Roma, 10 apr – Alcune regioni stanno vagliando proposte per l’autorizzazione della somministrazione di preparati cannabinoidi ad uso terapeutico (il caso più recente in Umbria). L’esigenza di farmaci “nuovi” (per meccanismo d’azione) che agiscano sui sistemi organici normalmente modulati dai “cannabinoidi interni” è un’opzione importante per una serie di malati. In particolare si tratta di prodotti che, oltre a varie proprietà mediche da studiare in maniera sistematica, sono utili su alcuni tipi di dolore, di epilessia, di vomito e di spasticità muscolare.
Deve essere chiaro, in questo percorso, che la diffusione e lo studio dei farmaci cannabinoidi non ha nessun nesso obbligato con la legalizzazione della cannabis, per due motivi almeno. In primo luogo, quando si parla di cannabinoidi non si indica solo il thc, responsabile (anche) di effetti euforizzanti o allucinogeni, ma anche il cannabidiolo e il cannabinolo, che invece non sono interessanti sul piano ricreativo ma posseggono alcune specifiche proprietà. Alcuni medici hanno, ad esempio, selezionato varietà botaniche che producano poco thc e molto cannabidiolo, così da avere preparati più adatti all’uso terapeutico. Contrariamente, il mercato della cannabis-“droga” sta percorrendo la via opposta, ossia la selezione di preparati a tenore di thc sempre maggiore, fino al ricorso a prodotti sintetici che superano la potenza del thc naturale.
I fautori della cannabis terapeutica, come ad esempio il Dr. Cinquini, noto per aver trattato con successo pazienti con cannabis sotto sua responsabilità, possono incorrere nell’errore di appoggiarsi alle associazioni canapiste come primo canale per raggiungere opinione pubblica e politica. Lo stesso medico auspica la messa a punto di ibridi botanici per l’uso terapeutico, con un rapporto thc/cannabidiolo funzionale all’uso terapeutico” (cioè basso). Non si capisce però come questo progetto possa aver interesse per i gruppi canapisti, interessati ad una qualità di cannabis completamente opposta, e che fanno dei malati la testa di ponte per ottenere la legalizzazione della “loro” droga preferita.
Il secondo fattore importante è che l’assunzione migliore a scopo terapeutico è quella a rilascio lento e lunga durata, ad esempio per via orale, come per i farmaci in pillole a base di thc (già disponibili a livello industriale). L’assunzione della cannabis-“droga” avviene invece per via inalatoria, così da avere un effetto rapido.
La via sanitaria e la via ricreativa quindi divergono. I consumatori richiedono caratteristiche diverse, addirittura opposte, rispetto a quelle dei malati. Una separazione di queste due vie passerebbe, a logica, attraverso la preparazione farmaceutica della cannabis, senza alcuna liberalizzazione del consumo o della coltivazione delle piante. Questa separazione è necessaria per separare le vie legislative a beneficio del servizio sanitario, onde evitare che i malati siano poi facilitati nel consumo di prodotti non ottimali sul piano medico, solo per soddisfare la popolazione, e clientela elettorale, ben più numerosa dei consumatori ricreativi.
Si ricorda che esiste la stessa separazione, ad esempio, tra illegalità degli oppiacei d’abuso (eroina) e la legalità delle terapie a base di oppiacei terapeutici. Se mai, nel tempo l’eroina, un tempo legale come farmaco, è in seguito stata vietata (e tolta dal mercato farmaceutico) per evitarne la diffusione della dipendenza nelle popolazioni.
La cannabis al momento è sotto sorveglianza, poiché collegata a numerosi casi di disturbi mentali, alcuni persistenti anche dopo la cessazione dell’uso, di gravità maggiore (psicosi).
Curare le malattie con i farmaci cannabinoidi è quindi possibile utilizzando canali sanitari, e senza bisogno di “contentare” i consumatori, con il rischio di “scontentare” alla fine i malati stessi, che richiedono prodotti in parte diversi, e di favorire la diffusione di malattie dovute agli effetti tossici della cannabis ricreativa.
Matteo Pacini
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