Roma, 08 dic – Amaro è stato l’ultimo verdetto emesso dal Censis (Centro Studi Investimenti Sociali). Secondo il rapporto annuale del Censis: “La crisi economica ha diffuso in Italia una percezione di vulnerabilità. Il 60% degli italiani pensa che a chiunque possa capitare di finire in povertà, come fosse un virus che può contagiare chiunque. La reazione è un attendismo cinico, per cui non si investe e non si consuma, il contante è considerato una tutela necessaria e prevale la filosofia del bado solo a me stesso”. Ma perché tanta meraviglia? Già nel sedicesimo secolo il Guicciardini diceva che gli Italiani pensano solo al “proprio interesse particulare”. L’egoismo, dunque, è un consolidato vizio italico.
Ma torniamo per un attimo alla sentenza del Censis. Partiamo dall’etimologia. Cosa vuol dire cinico? Il cinismo fu una scuola filosofica sorta nel IV secolo a.C. Il termine cinico deriva dal greco antico (κυνικός) ossia cane o alla maniera del cane. La parola “cane” è stata affibbiata ai primi cinici come insulto per il loro sfacciato rifiuto dei costumi tradizionali. Diogene, in particolare, era additato come il Cane perché viveva dentro una botte. Una definizione nel quale il filosofo si crogiolava affermando che “gli altri cani mordono i loro nemici, io mordo i miei amici per salvarli”. Il cinismo offriva infatti alle persone la possibilità di raggiungere la felicità e la libertà in un’epoca piena di sofferenze e incertezze. Oggi, a causa di uno slittamento semantico, il cinismo è sinonimo di egoismo e cattiveria. In realtà, oggi come allora, il cinico si rifugia nella solitudine per proteggersi da una realtà ad esso ostile. La vulnerabilità ci rende vili e con il cuore pieno di paura. Non ci resta altro che nasconderci nella botte di Diogene.
Una triste prospettiva che trova le sue radici nelle scelte politiche compiute negli ultimi venti anni.
Cominciamo a parlare di lavoro. Vediamo cosa ci dice il Rapporto annuale del Censis: “Dei circa 4,7 milioni di giovani che vivono per conto proprio, oltre un milione non riesce ad arrivare a fine mese. Il Jobs act non viene percepito come sinonimo di più occupazione”.
Quindi, l’italica gioventù che va dai quattordici ai trentaquattro anni è da considerasi una generazione di mantenuti. Si dice che non siamo disposti a fare lavori che gli stranieri fanno ben volentieri. Chi lo dice ha ragione. Ma non credo che sarebbe disposto a vivere con altre dieci persone in un appartamento di cinquanta metri quadri come fanno gli stranieri. È vero che i piccoli esercenti italiani vendono le loro attività ai cinesi. Ma chi sarebbe disposto a lavorare con turni da dodici ore al giorno? Non solo non è auspicabile ma è illegale. Per non parlare di un’impresa familiare. Se un padre italiano obbligasse il figlio a fare metà del lavoro che fanno i giovani immigrati perderebbe per sempre la patria potestà. Per gli stranieri il discorso cambia. Quindi non possiamo stupirci se crescono le imprese dei migranti. Le femministe, che tanto hanno fatto per demolire una società paternalistica e fallocentrica, sono pronte a benedire usi e costumi dei migrantes. Donne di larghe vedute.
Ma ora guardiamo l’altra metà del cielo. Esistono giovani che lavorano e che mettono su famiglia. Lo Stato li aiuta? Certo. Vediamo come. Prendiamo per esempio una coppia sulla trentina con due figli. Mamma e papà lavorano. Che fortuna! Qualcuno deve però pensare alla prole. Vorrebbero portare i loro figli all’asilo nido ma il loro reddito è alto rispetto all’immigrato che è nullatenente (perché lavora in nero).
Che faccia tosta che hanno gli italiani! Sono così benestanti da pagare un mutuo o un affitto in una grande città e pretendono di avere accesso ai servizi sociali per i veri bisognosi. E se questo non bastasse, a motivare chi produce, risparmia e decide di metter su famiglia, ci pensa la tributaria. Infatti, i depositi bancari di nucleo familiare saranno cumulati al reddito che ogni famiglia produce. Quindi chi si mette da parte qualcosa per le emergenze, da oggi dovrà fare i conti con l’indice ISEE. L’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) è lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di chi richiede prestazioni sociali agevolate o l’accesso a condizioni agevolate ai servizi di pubblica utilità. Se il cittadino ha tanta disponibilità economica da mettere da parte qualche quattrino per i tempi di magra sarà considerato benestante. Poi aggiungiamoci il fisco amico che pesa per il quarantatré del Pil. Fatte queste osservazioni, rimane un dubbio: ma perché i giovani sono così restii a metter su famiglia?
L’emergenza vera, però, per il Censis sarà la situazione nelle periferie delle metropoli. Rischiamo di vedere le nostre città messe a ferro a fuoco come le banlieu parigine. Cinici, quindi, ma anche un po’ razzisti. La colpa è di chi soffia sul disagio della gente per vili scopi elettorali. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Il principio di prossimità (prima gli Italiani) è davvero così razzista? Vediamo cosa diceva un certo Giuseppe Mazzini: “Come la Patria più assai che la Patria, la famiglia è un elemento della vita”. La patria come la famiglia. Citiamo, quindi, il nostro Codice Civile: “I vincoli di solidarietà che devono intercorrere tra i membri di una stessa famiglia non trovano il loro fondamento solo in obblighi di carattere morale, ma anche in numerose norme di legge che stabiliscono, tra l’altro, il diritto agli alimenti ed il diritto al mantenimento”. In pratica se mio fratello ha bisogno di aiuto devo pensare prima a lui che al vicino di casa. Se esiste una comunità nazionale questo ragionamento non può non estendersi a tutti i suoi membri. Fuor di metafora. Riprendiamoci ciò che ci siamo fatti togliere! Così continueranno a giudicarci cinici ma almeno non diranno che siamo fessi.
Salvatore Recupero