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Rodrigo Taddei: elogio del gregario

by Rolando Mancini
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Roma, 4 apr – Rodrigo Taddei non è mai stato un fenomeno e, vista la sua carta d’identità, non lo sarà mai. Non è uno di quei calciatori da titolone sul giornale, non è quel nome che fa sognare i tifosi nelle estati d’agosto. No non è niente di questo. Un po’ per la sua non proverbiale bellezza un po’ per il suo modo di essere riservato non è mai stato un uomo copertina, di quelli con i scarpini fosforescenti e il capello sempre ingelatinato, no Taddei è stato ed è sostanza non apparenza.

Luciano Spalletti lo volle alla Roma per farlo giocare nel suo 4-2-3-1 come esterno destro nei tre centrocampisti avanzati e la sua dinamicità in entrambi le fasi, unita a quella del suo compagno di reparto Perrotta, garantivano a quella Roma l’equilibrio necessario per farla essere competitiva ad alti livelli. Il periodo di Spalletti è stato sicuramente il più felice per Taddei, riuscì in quel quadrienno a dimostrare tutto il suo valore tattico, soprattutto, ma anche tecnico (vi ricordate l’Aurelio?) tanto che prima di cedere la Roma agli americani Rosella Sensi volle rinnovargli il contratto per altri 4 anni a 2,8 milioni di Euro a stagione. Era il 2010 Taddei aveva compiuto da poco 30 anni e la decisione non fu accolta con molto favore dall’ambiente giallorosso.

Le stagioni successive alla gestione Sensi, furono quello del “progetto”. Si ripartiva con molte aspettative, molti soldi investiti e la fascinazione non celata per lo stile Barcellona tanto che il primo allenatore chiamato dagli Americani fu Luis Enrique, con annesso allontamento di Montella. Il tecnico spagnolo aveva un’idea di gioco molto diversa da quella di Spalletti, più blaugrana claro, basata quasi esclusivamente sul possesso palla, il famoso tiqui taka. In questa Roma Taddei cambia ruolo, Luis Enrique lo fa giocare terzino. Il brasiliano non batte ciglio, a 30 anni suonati studia da terzino mettendoci come suo solito corsa e grinta ma i risultati, come d’altronde quelli di tutta la squadra, non sono soddisfacenti. L’anno dopo tocca a Zeman, con il boemo Taddei resta ai margini del progetto e gioca solamente la miseria di quattro partite.

Tutto a questo punto lascia pensare a una dignitosa chiusura di sipario sulla carriera del brasiliano: ultimo anno di contratto con possibilità zero di rinnovo, nessun mondiale da inseguire, nessuno sponsor da convincere, niente da dimostrare a nessuno. Invece succede quello che non ti aspetti, Taddei viene impiegato in qualche spezzone di partita dal nuovo tecnico Garcia, poi contro il Chievo viene schierato dal primo minuto. E fa un partitone. Gioca anche la domenica dopo col Sassuolo una ventina di minuti di ordinaria amministrazione, Poi mercoledì scorso gioca contro il Parma ed oltre a correre novanta minuti per la squadra, ma questa non è una notizia, fa anche gol. Segna e mimando il battito del cuore (esulta così per ricordare il fratello minore morto in un incidente d’auto dove viaggiava lo stesso calciatore) corre sotto la Curva Sud si arrampica sul vetro e abbraccia i suoi tifosi. Con lo stesso entusiasmo di un esordiente, con la stessa fame di un primavera.

Senza parlare di quando la Federcalcio italiana lo contattò per sondare la disponibilità ad indossare la maglia azzurra. Lui, che ha il doppio passaporto, rifiutò cortesemente pur sapendo di aver più chance in azzurro che in verdeoro: “Sin da piccolo ho sognato di giocare per la nazionale del mio Paese, inoltre giocare con la maglia azzurra non sarebbe corretto nei confronti di chi è veramente italiano”.

A 34 anni Rodrigo Taddei sta dimostrando di avere ancora molto da dare e da insegnare. Soprattutto ai più giovani. Professionalità in primis ma anche, cosa che ormai è veramente merce rara, attaccamento alla maglia: “Quando indosso questa maglia mi trasformo. Io mi sento di Roma e sono romanista, è come se fossi nato qua” diceva Taddei nel 2007. Alle parole seguono i fatti. Non i cinguettii.

Rolando Mancini

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