Roma, 9 lug – Un’occhiata veloce verso il cielo, la lingua che passa nervosamente sulla labbra. Lo sguardo che trasuda concentrazione, il peso di un’intera nazione calcistica sul proprio mancino. Rincorsa, prima a piccoli passi, poi sempre più decisa. E infine la sassata sinistra più famosa di tutto il pallone nostrano. Renato Curi, Chieti, Perugia, Palermo: chissà se Fabio Grosso in quei sette interminabili secondi avrà ripensato anche al sudore versato nella – più o meno profonda – provincia italiana.
Australia, Germania, Francia: le giocate decisive
La sequenza è quella dell’ultimo rigore di Italia – Francia, l’ormai lontana finale del mondiale 2006 giocata sotto il cielo di Berlino esattamente 16 anni or sono. Il terzino romano diventa ancora una volta l’eroe che non ti aspetti in un torneo iniziato sotto i presagi peggiori (leggere alla voce calciopoli). Sì, perché in quella competizione il numero tre della selezione di Lippi era già risultato decisivo in altre due occasioni. Procurandosi prima una massima punizione vitale nel recupero dell’intricato ottavo contro la volenterosa Australia. Colpendo poi al cuore un intero popolo – quello tedesco – in una celeberrima semifinale (forse ancora più iconica della gara contro i galletti) con il suo sinistro a giro quando tutto lasciava intuire che si sarebbe andati alla maledetta lotteria dagli undici metri.
Fabio Grosso, l’uomo degli ultimi minuti
Quel tiro a incrociare che ci ha consegnato il quarto titolo iridato della nostra storia nasce da un’intuizione del commissario tecnico. Nonostante una scrupolosa preparazione ad ogni dettaglio – compresa un’ampia rosa di possibili rigoristi – l’allenatore viareggino si trova con soli quattro battitori affidabili per esperienza, precisione e freddezza. Per una precisa volontà infatti i migliori sono anche i primi prescelti: Pirlo, Materazzi, De Rossi e Del Piero. La scelta del quinto, che a volte non serve ma tante altre risulta pesantissimo, ricade proprio sul terzino rosanero. “Sei l’uomo degli ultimi minuti…quindi tu devi battere l’ultimo”.
La gavetta e l’affermazione
Una carriera partita da lontano. Da anonimi campionati di Eccellenza abruzzese. Grosso si mette infatti in mostra nel Renato Curi, dove giostrandosi sulla trequarti dimostra di avere un ottimo rapporto con le porte avversarie. Il salto nel professionismo arriva grazie alla chiamata del Chieti. Con la maglia neroverde si merita la C1, serie che non disputerà mai in quanto nell’estate 2001 viene tesserato dal Perugia del vulcanico presidente Gaucci. In Umbria sotto la gestione Cosmi arretra gradualmente il proprio raggio d’azione: esterno nel centrocampo a 5 per poi affermarsi definitivamente come terzino di spinta e assaporare la maglia azzurra.
Lo cerca l’ambizioso Palermo, che però milita in B. Un piccolo passo indietro, ma solo per prendere la rincorsa. Mezza stagione in cadetteria – vinta al primo colpo – e altre due splendide annate nella massima serie che valgono il posto fisso in nazionale e, subito dopo il mondiale, un contratto dall’Inter. Con i nerazzurri conquista lo scudetto ma, complice un’annata personale in chiaroscuro, preferisce l’esperienza francese, in quel di Lione. Dopo due anni (e tre trofei: campionato, coppa e supercoppa francese) torna in Italia, vestendo con alterne fortune la maglia della Juventus.
L’esperienza da allenatore
Appesi gli scarpini al chiodo, inizia la carriera da allenatore. Partito dal settore giovanile della stessa società bianconera oggi siede sulla panchina del Frosinone. Pronto a guidare la compagine laziale per il terzo anno consecutivo, nella stagione scorsa ha lanciato il giovane difensore Gatti, un altro ragazzo venuto dal nulla che si è già ritagliato un gettone in nazionale. Casualità? Sicuramente. Ma chissà che la prossima grande soddisfazione azzurra non arrivi – ancora una volta – da un illustre sconosciuto. Sognare, in fondo, non costa nulla. Tanto più il 9 luglio, giornata mondiale dell’eroe che non ti aspetti.
Marco Battistini
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