Roma, 20 mar – Gianfranco Fini in carcere? Non ancora. Prevedendo la smania di molti lettori che giustamente ricorderdanno il vissuto politico del personaggio in questione, dobbiamo anche chiarire un punto: non è un contrappasso. Quello c’è già stato, si chiama morte politica e oblio. Avvenute ormai più di dieci anni fa. Però quanto emerge quasi a sorpresa dalla vicenda che rovinò colui che promosse l’antifascismo nel Msi – Alleanza nazionale lascia un po’ pensare, quanto meno a dei “bilanciamenti del destino” se possiamo chiamarli così.
Fini rischia 8 anni di carcere, ancora per la casa di Montecarlo
Ieri mattina la prima pagina de La Verità si apriva con un titolone a caratteri cubitali, che riguarda proprio Fini e il rischio del carcere. Tanto carcere, considerata anche l’età ormai avanzata. Motivo? Ancora una volta lo scandalo della casa di Montecarlo con cui iniziò il suo rapido declino politico. Avvenuto a seguito di un tentativo di “golpe” interno al centrodestra allora guidato da Silvio Berlusconi. Su cui il giornale di Mauzio Belpietro certo non risparmia dettagli storici. Comunque, il fatto più recente è che la Procura di Roma ha chiesto una condanna a otto anni di carcere per Fini e nove alla compagna Elisabetta Tulliani, per la ben nota vicenda della casa di Montecarlo ceduta da Alleanza Nazionale a Giancarlo, fratello di Elisabetta. Per quest’ultimo i pm hanno chiesto una pena di dieci anni e 30mila euro di multa, mentre per il padre Sergio cinque anni e 10mila euro.
Nessun contrappasso, ormai è come sparare sulla Croce Rossa
Il signor Fini ha già distrutto la sua dignità in ogni modo senza che sia necessario il carcere per renderla evidente. Né tanto meno ci nutriamo della vendetta, ovvero il sentimento dei mediocri e dei falliti. Alla storia, infatti, l’unica mediocrità politica che è già passata è quella dell’ex segretario dell’ex partito della destra italiana. Sebbene – è importante sottolinearlo – potesse essere molto di più. Perché proprio l’ultimo segretario del Msi aveva tutto e lo diciamo senza troppi complimenti: dialettica, intelligenza, scaltrezza. Non cultura, quella non proprio. Ma sicuramente doti di iniziativa e di rapporto con la gente che un politico può e deve saper sviluppare. È caduto, oltre che nel bieco tradimento della metà degli anni Novanta, in qualcosa di ancora più sciocco: l’impazienza. Impazienza di aspettare il suo turno alla guida della coalizione, probabilmente conscio della stima inesistente da parte di Berlusconi. Tentò il golpe, goffo, rozzo, con il solito appoggio mediocre di una sinistra a cui per una carriera intera non aveva fatto altro che strizzare l’occhio e fare la riverenza ad ogni occasione buona (continuando a farla ancora oggi, nella triste speranza di riacquistare visibilità). Non gli riuscì. Poi a ciascuno il destino che si merita. Magari quest’ultima novità è solo il coronamento di un processo di giustizia (non certamente terrena, non prendiamoci in giro) che doveva fare il suo corso. Chissà.
Stelio Fergola