Home » Guy Ritchie e “The Gentlemen”, tra il pub e il red carpet

Guy Ritchie e “The Gentlemen”, tra il pub e il red carpet

by Roberto Johnny Bresso
0 commento
the gentlemen guy ritchie

Roma, 31 mar – In queste settimane si è tornato prepotentemente a parlare del regista inglese Guy Ritchie, grazie alla serie per Netflix The Gentlemen, tratta dal suo film omonimo, che ha riscosso un enorme successo di critica e di pubblico. Ma cosa rende così affascinante la vita e la carriera di un personaggio sicuramente fuori dagli schemi canonici del mondo hollywoodiano?

Nascita ed evoluzione

Nato nel 1968 ad Hatfield, cittadina dell’Hertfordshire, da famiglia borghese, mostra però subito il suo animo ribelle, venendo espulso ed abbandonando definitivamente la scuola a soli 15 anni a causa dell’uso di droga e del fatto di intrattenersi con le ragazze negli edifici della stessa. Appassionato di cinema, fonda la casa di produzione SKA films (omaggio ad uno dei suoi generi musicali preferiti) e, dopo il cortometraggio The Hard Case, fa il suo esordio con la pellicola Lock & Stock – Pazzi scatenati, che lancia la carriera di Jason Statham. Il film, che ottiene grande successo, può essere considerato la summa di tutta la sua futura cinematografia: azione mischiata a commedia, sottobosco criminale tra straccioni e boss della malavita, dialoghi al fulmicotone, colonna sonora da urlo, vita da pub e quel saper essere a proprio agio sia tra le più infime strade londinesi che nei ritrovi dell’alta società. Con il successivo Snatch – Lo strappo, grazie alla presenza di Brad Pitt (che volle espressamente lavorare con il regista per un cachet nettamente inferiore ai suoi standard) la fama di Ritchie attraversa l’Oceano ed è così che un ragazzino dislessico cacciato da scuola conoscerà un’icona mondiale come Madonna, finendo anche per sposarla nel 2000. Purtroppo questo periodo di esagerata fama planetaria coinciderà con la fase più difficile della sua carriera: deciso a rilanciare la carriera di attrice della moglie dirigerà Travolti dal destino, remake del film di Lina Wertmüller.

La pellicola venne derisa e stroncata da critica e pubblico, anche se, lo confesso, riguardandola a distanza di anni ha un non so che di kitsch che la rende quasi un cult. Anche il successivo Revolver non decolla, ma, quasi come per magia, dopo il divorzio dalla cantante la sua carriera sembra riacquistare linfa vitale: prima andando sull’usato sicuro delle sue vecchie tematiche con RockenRolla e poi raccogliendo una sfida così affascinante e complicata come quella di riportare sul grande schermo il più grande detective della storia. Con Sherlock Holmes e Sherlock Holmes – Gioco di ombre riesce a mantenere intatto tutto il fascino retrò della Londra di fine Ottocento, rendendola però anche estremamente pop e moderna. Grazie al ritrovato successo commerciale Guy Ritchie acquista la libertà creativa di spaziare da un genere all’altro, pur mantenendo il suo classico stile che sembra non prendersi mai troppo sul serio (ci pensa già abbastanza la vita a farlo). Con Operazione U.N.C.L.E. si torna alla guerra fredda ed alla lotta tra spie, mentre King Arthur – Il potere della spada rilegge il mito di Re Artù, regalandoci un’opera seconda soltanto all’impareggiabile Excalibur di John Boorman.

Ritchie e The Gentlemen

Dopo il divertente Aladdin (fedele live action del film animato) è il tempo di The Gentlemen, pellicola nella quale tutto funziona alla perfezione come un motore ben oleato: malavita, droga, intrighi e tantissima ironia… nulla è lasciato al caso e la complicata trama si scioglie in un finale azzeccato. Ma quello che più colpisce è l’assoluta meticolosità nella scelta dei costumi. Del resto Ritchie ha sempre prestato grandissima attenzione nel come vestire i suoi personaggi, con estrema eleganza o look casual, a seconda dell’occasione. Con questo film riesce persino nell’impresa di rilanciare la Lonsdale, grazie ad una serie di tute così pacchiane da risultare da urlo. I successivi La furia di un uomo – Wrath of Man e Operation Fortune: Rule de guerre servono a mettere in mostra le doti di Statham, nel primo caso come freddo vendicatore, nel secondo mostrando anche il suo lato comedy. Arriviamo così all’insolito, per Ritchie, The Covenant: in questo film di guerra ci viene mostrata tutta l’ipocrisia e l’arroganza del governo statunitense, che durante l’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan prima si serve dell’aiuto degli interpreti locali, salvo poi abbandonarli al loro triste e tragico destino dopo la ritirata dal paese.

E giungiamo così all’attualità, perché il mondo di The Gentlemen si prestava decisamente ad essere ampliato in una serie televisiva. Così in otto puntate Guy Ritchie ci regala un’opera visivamente perfetta e dalla trama accattivante, che non lascia delusi i suoi fans della prima ora, ma è in grado di poter avvicinare anche chi conosce poco o nulla della sua cinematografia.

Concludo con un paio di curiosità: due della grandi passioni del regista sono il calcio (è un grande tifoso del Chelsea) ed il pub. In alcuni dei suoi film, nonché nella serie tv della quale abbiamo appena parlato, ha recitato un altro dei suoi attori feticcio, vale a dire l’ex bad boy del calcio inglese Vinnie Jones. E nel caso passiate da Londra potete andare a bervi qualche pinta al The Lore of the Land, pub di proprietà proprio di Guy Ritchie.

Roberto Johnny Bresso

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati