Roma, 31 mag – Parliamo di Strapaese e di Italia, e ragioniamo su un fatto: se non hai le fondamenta non puoi costruire un castello con tante bellissime stanze. È chiaro. È tutto destinato inesorabilmente a venire giù al primo scossone.
Strapaese una gran bella cosa, ma nell’Italia malata…
Se ci fate caso, gli identitarismi locali vanno d’accordissimo con la sinistra. Non troverete tanto facilmente una persona di sinistra, dirigente politico o semplice elettore, che andrà contro la sagra del cinghiale di non si sa bene dove o la fiera medievale di turno, molto diffusa soprattutto nell’Italia centrale. Se invece si parla di Nazione, apriti cielo. Lì c’è il vero contrasto. La prova è il giornale Gambero Rosso che abbiamo citato ieri in occasione del titolo scandalosamente filo-immigrazionista che invitava gli africani ad invaderci addirittura nel campo culinario. La stessa testata (che è di sinistra e non è certamente una scoperta), sempre ieri, pubblicava questo contenuto a difesa della “romanità” di borgata contro l’apertura dell’ennesimo McDonald.
Ma com’è possibile che la “romanità” venga quasi difesa mentre la cucina italiana in generale venga sminuita al punto da invocare gli chef del continente dirimpettaio? Non ci vuole un genio per capire come, se si invade la cucina italiana, giocoforza lo si fa con quella romana o con qualunque altra sua variante locale. Ma qui si arriva al punto: chi è identitario ma punta sul locale non entrerà mai in conflitto con qualsiasi persona di sinistra, magari ultraglobalista, ultraliberista, ultra anti-nazione. Questo perché le differenze sono uno strumento utile per infangare l’unica cosa che va infangata, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi costo: l’Italia unita.
Una tattica da dividi et impera
Come mai gli identitari locali “de destra” e le persone di sinistra concordano su questo aspetto? Semplicissimo: la sinistra ha nel dna il localismo. La musica popolare, le tradizioni popolari. Diremmo di più, si tratta di un percorso voluto, per apparire come chi è attento a difendere il piccolo e il debole nei confronti del più forte. Ma in realtà è un perfetto cavallo di Troia. Avete letto bene, esattamente un cavallo di Troia, per evitare il nascere e finire di disintegrare quel pochissimo che resta di identità nazionale, fingendo anche di fare un dono a qualcuno. Che poi tutto ciò sembri apparentemente in antitesi con l’internaziolismo tipicamente più di sinistra, è una pura illusione: in realtà è perfettamente in armonia, perché l’internaziolismo non vuole identità nazionali, esattamente come il localismo (anche se quello “de destra” si illude del contrario).
Un solo nemico: la Nazione
È evidente come i due aspetti, in realtà, siano due facce della stessa medaglia. Perché l’unica cosa che conta è la seguente: che non si parli di Nazione. Perché è lei il nemico assoluto. Qualunque cosa concorra a distruggerlo è sfruttabile. L’internaziolismo magari lo fa sfrurrando l’umanitarismo, l’empatizzare con le disgrazie altrui, mentre il localismo lo fa puntando su un moralismo che desidera la difesa del più debole, come un Davide contro Golia. In entrambi i casi funziona benissimo, perché tutto il percorso fa leva su emozioni umane naturali e profonde. La sinistra, del resto, è sempre bravissima a sfruttare le emozioni umane. Lo Strapaese è un valore, ma non in una Nazione malata e in corsa verso la morte come l’Italia. Perché ogni differenza, invece che esaltarne l’identità, viene usata da chi domina oggi la cultura per ricordarci e convincerci ancora del fatto di non esistere.
Stelio Fergola e Michele Lanna