Home » Ritardi di produzione per il supermissile Usa: cosa sta succedendo nella Us Navy?

Ritardi di produzione per il supermissile Usa: cosa sta succedendo nella Us Navy?

by La Redazione
0 commento
supermissile Usa ritardi produzione

Roma, 27 gen – Niente supermissile Usa, almeno per ora. Dagli Stati Uniti arriva la notizia di un altro imprevisto per la macchina bellica della US Navy. Stavolta non si tratta del reclutamento di marinai, bensì della produzione e fornitura degli Standard Missile 6, anche noti come RIM-174 Standard ERAM, un missile di recente introduzione destinato alla difesa anti-area della flotta statunitense e potenzialmente destinato anche all’impiego anti-nave.

Il supermissile Usa

Entrato in servizio a fine 2013 l’SM 6 è un missile a due stati a propellente solido e rappresenta lo stato dell’arte di queste tecnologie disponendo di varie modalità d’impiego: guida inerziale, radar attiva e semi-attiva, e guida integrata oltre l’orizzonte CEC per una gittata di 240 km con una velocità di Mach 3,5 (l’attuale versione dell’SM 6 non è comunque considerata un missile ipersonico). Scopo del missile è offrire difesa anti-area contro ogni tipo di minaccia: aerei, elicotteri, droni, missili antinave. All’occorenza può essere utilizzato per intercettare missili balistici nella traiettoria finale e come missile superficie-superficie nell’impiego antinave.

Impiego anti-nave che rimane soprattutto teorico, in quanto gli SM 6, viste le prestazioni sono caratterizzati un un costo piuttosto elevato, oltre 4 milioni di dollari per unità, quasi un fattore dieci rispetto ai RIM-156 che teoricamente andava a sostituire. Un costo superiore anche rispetto ai classici missili da crociera superficie-superficie Tomahawk che nell’ultima versione Block V sono arrivati a circa 2 milioni di dollari.

Certo è che l’ SM 6 si è rivelato fin da subito una piattaforma promettente, tanto che nel 2016 è stata approvata lo sviluppo di una variante ipersonica, SM-6 Block IB, dotata di un nuovo motore razzo. Variante ancora in corso di sviluppo.

Sullo scenario geopolitico mondiale attuale l’SM 6 rappresenta anche uno degli elementi cruciali della difesa della US Navy contro la crescente minaccia della marina cinese che mette a punto i suoi missili carrier killer in poligoni nei deserti cinesi che replicano proprio i carrier group statunitensi.

I ritardi produttivi e la scarsa fornitura alla Marina

Il problema è che l’industria della difesa USA non riesce a reggere il passo con la richieste della US Navy. Come laconicamente evidenzia Wikipedia, il fabbisogno stimato era di 1.800 unità, e al momento ne sono state consegnate 500. E secondo quanto evidenziato da Bloomberg nei giorni scorsi la situazione potrebbe essere ancor più complicata: delle 625 unità previste dal contratto quinquennale del 2019 ne sono state consegnate meno della metà.

I ritardi nella produzione dipenderebbero dai problemi alle supply chain, le filiere industriali e logistiche messe a dura prova dalla pandemia prima e dalla guerra russo-ucraina poi e ai relativi aumenti dei costi. La criticità principale è stata individuata nella produzione dei motori razzo realizzati dalla Aerojet Rocketdyne. A complicare il tutto anche il tentativo di acquisizione della Aerojet da parte della Lockheed Martin, tentativo fallito e in cui la principale opponente era proprio la RTX Corporation, erede della Raytheon, che produce gli SM 6. Secondo alcuni analisti, le vicende in merito alla possibile acquisizione potrebbero aver tolto la necessaria attenzione a produzione e consegne.

I ritardi, oltre a impattare direttamente sull’US Navy (tra l’altro il missile è già in dotazione alla marina nipponica, ne è stata approvata la vendita a quella sudcoreana e anche la marina di australiana lo sta valutando), hanno fatto sì che una commissione parlamentare bloccasse una richiesta del Pentagono per altri 3,2 miliardi di dollari di forniture nell’attesa di risolvere la situazione.

Nelle settimane scorse si era molto parlato delle forniture di proiettili d’artiglieria all’Ucraina e dei tempi lunghi richiesti dalle industrie occidentali per garantire i volumi necessari. Il proiettile d’artiglieria è un oggetto relativamente a bassa tecnologia: la criticità principale possono essere individuate nella riduzione della filiera siderurgica, metalmeccanica e chimica (e relativi operai specializzati) da parte dell’Occidente sviluppato la cui industria si è concetrata su filiere ad alto contenuto tecnologico.

Ma la storia dell’approvigionamento dell’ SM 6 mostra come anche su armi dall’elevato valore tecnologico un campione dell’industria bellica come gli Stati Uniti possa incorrere a ritardi sul piano della sua filiera industriale. E anche per armi già consolidate come il già citato Tomahawk pure i numeri di produzione sono tutto sommato relativi, soprattutto nel contesto odierno di diverse aree di crisi attive.

Basti pensare che negli attacchi contro le basi Houthi sono stati lanciati tra gli 80 e i 100 Tomahawk e la produzione annua iniziale dell’ultima variante Block V per il 2020 e il 2021 è stata dell’ordine di 90 unità. Produzione che già dallo scorso anno è in programma di essere incrementata di un fattore 6. In un mese di guerra si rischia di consumare un anno di produzione di una data arma. Ennesima dimostrazione che l’elemento di supremazia tecnologica non deve mai essere disgiunto dalla capacità industriale.

Flavio Bartolucci

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati