Bergamo, 16 mar – «La nostra idea era di fare un grande sacrificio subito per essere liberi prima: se ci avessero ascoltati, le cose sarebbero andate diversamente», sono queste le amare considerazioni del sindaco di Alzano Lombardo (Bg), Camillo Bertocchi, 43 anni. Alzano, media Val Seriana, uno dei comuni-simbolo dell’epidemia di coronavirus che sta falcidiando la provincia di Bergamo. Qui, da tre settimane, ogni giorno si contano i morti del Covid-19. Al Corriere spiega: «Cinque solo l’altra mattina. Più di 50 nei venti giorni di emergenza. L’anno scorso, nello stesso periodo, furono otto. Mi è venuta la curiosità di capire se il virus fosse già arrivato a fine 2019, ma i dati da dicembre a febbraio erano in linea. Ora sono esplosi: la conseguenza dei contagi di fine febbraio».

L’origine del contagio

I rapporti con la Cina del manifatturiero di Alzano sono stati l’innesco del contagio. Quello, e l’ospedale del paese, che ha veicolato l’infezione, quando il paziente zero ha portato il Covid-19 al pronto soccorso, trasmettendolo al personale medico e agli operatori sanitari. Da quel momento, il numero di infetti è letteralmente esploso. Così come a Nembro, il comune confinante anch’esso piagato dal Covid-19: «Penso che l’azienda ospedaliera svolgerà un’indagine interna — annuncia il consigliere regionale leghista Roberto Anelli —, non vorrà rimanere nel dubbio che siano stati disattesi i protocolli, anche se per come conosco gli operatori sono sempre stati scrupolosi».

Sgridati dal Viminale

Una zona rossa invocata disperatamente fin dalla fine di febbraio, e mai ottenuta. Ora servirà? «Dirlo adesso è facile — risponde Bertocchi —. Fin dal 23 febbraio abbiamo capito la gravità della situazione. Ed eravamo tutti per la linea rigida, ribadita anche il giorno 25, nonostante gli allentamenti a livello nazionale. Da noi bar chiusi anche dopo le 18. Ma vuol sapere una cosa? Non solo siamo stati criticati dagli operatori, ci è arrivato pure il richiamo dal ministero degli Interni tramite una circolare della prefettura che vietava ai sindaci di prendere misure. Chiedevamo rigore e chiarezza, non volevamo disorientare il cittadino. Il territorio va ascoltato: non era il segnale di un sindaco, ma di sette, da Torre Boldone ad Albino».

Nessun rispetto istituzionale

Ricorda i giorni di attesa, cercando di capire se quella benedetta zona rossa si sarebbe fatta. Prima incontrando l’ostilità di quelli che gridavano lo slogan Riprendiamoci le città, poi, quando tutti i buoi erano scappati dalla stalla, osteggiati dagli imprenditori che non volevano mollare: «eravamo sospesi. Quattro giorni assurdi, senza il minimo rispetto istituzionale. Poi, dal decreto dell’8 marzo, abbiamo capito che la linea era cambiata: non più contenere, ma rallentare il contagio. A quel punto c’era il “rischio rilassamento”: lungo il fiume Serio la gente passeggiava come niente fosse. Abbiamo richiamato l’attenzione e da una settimana tutti obbediscono».

Don Filippo Tomaselli, sacerdote delle parrocchie di Alzano centro e Alzano Sopra, spiega come la comunità pastorale si è dovuta adeguare all’epidemia: «Siamo costretti a fare pastorale telefonica: la gente soffre molto per l’impossibilità di accompagnare la persona cara negli ultimi giorni di vita. Le messe in streaming, via Facebook, ci fanno ancora sentire comunità». «Bergamo resta la provincia dove i contagiati crescono di più», annuncia l’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera: 3.416, in un giorno 552.

Cristina Gauri

Ti è piaciuto l’articolo?
Ogni riga che scriviamo è frutto dell’impegno e della passione di una testata che non ha né padrini né padroni.
Il Primato Nazionale è infatti una voce libera e indipendente. Ma libertà e indipendenza hanno un costo.
Aiutaci a proseguire il nostro lavoro attraverso un abbonamento o una donazione.

La tua mail per essere sempre aggiornato

Articolo precedenteCoronavirus, stop ai collegamenti con la Sicilia. Accolta la richiesta di Musumeci
Articolo successivoCoronavirus, l’Ue: “Evitare la chiusura dei confini”
Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

3 Commenti

  1. oni joni..ammazza che robbba.Nun ce se crede. Nun avete capito un cazzo.Nun se ne esce da sta situazione fino a che l’ immunità de gregge nun è completata..imparate dai tedeschi Svejateve!!

Commenta